Buongiorno Fabrizio Miccoli,
volevo solo dirle qualche parola, giusto per non sottrarmi ai miei doveri di siciliano incazzato.
Mi chiedevo una cosa: ma in questi giorni ha avuto modo di parlare con il suo amico Mauro Lauricella? Da una settimana ho un pensiero. Lei mi sta sembrando il classico ragazzo buono e sfigato che però vuole apparire "figo" e per questo si fa le sopracciglia strane, si riempie di tatuaggi e soprattutto cerca di emulare l'amico furbo, scaltro, un po' bulletto. Non so perché, ma mi immagino la scena di lei che per non sfigurare davanti all'amico (l'amicizia è un valore importante e credo che lei voglia davvero bene a Lauricella) si ritrova a comportarsi come un aspirante bullo di periferia. E insulta Giovanni Falcone.
Non è per offenderla, anzi io sono uno di quelli che ha sempre apprezzato il Fabrizio Miccoli calciatore e non solo. Ho creduto che lei fosse diverso dagli altri, ho applaudito le sue giocate e i suoi comportamenti. La dedica agli operai di Termini Imerese dopo il gol alla Juve, l'ammirazione per Che Guevara, le lacrime quando segna contro il "suo" Lecce.
Ecco, le lacrime. Il problema, Miccoli, è che quando lei era nel San Donato in Salento e in procinto di finire nelle giovanili del Milan, cioè nel 1992, io ero un po' più piccolo di lei (tifavo già Milan) e le lacrime me le sono portate dietro, sin da allora e per vent'anni e passa, perché ammazzarono quel Falcone che lei, forse per compiacere le sue amicizie palermitane, ha imparato a offendere e insultare. E pensi che Falcone era uno sportivo, credeva nei valori di lealtà e formativi dello sport, prima palestra per imparare il rispetto delle regole. Immagino pure che simpatizzasse per il Palermo, lui che era nato alla Kalsa, lo stesso quartiere del suo amico Lauricella.
Guardi, non sono un pm, né un giudice, né un inquisitore. Sono garantista, non tocca a me condannarla. Dico solo che mi dispiace per la sua stupidità: non è un alibi, è la sua aggravante piuttosto. Come non è un'attenuante il suo stupido datore di lavoro.
Lei chiede scusa a tutti, a cominciare dalla sua famiglia. Ha due figli, di nove e cinque anni, e dice di volerli far crescere nella legalità. Io avevo nove anni quando morì Falcone: vivevo già nel valore della legalità. Spero che non sia stata questa sua pessima figura a farle scoprire l'esigenza di dare un insegnamento importante a Swami e Diego. Ha anche mandato a Repubblica un messaggio idealmente indirizzato a Falcone. Complimenti per la stupidità da "10" (senza lode).
Poi magari abbiamo frainteso le intercettazioni e invece di "fango" lei diceva qualcosa di più esotico, in linea con il suo estro: chessò, mango, tango, Django. Oppure il suo era solo un consiglio per un tour alla riscoperta del patrimonio vegetale della città: prima l'albero di Falcone, poi le palme, i ficus dell'Orto botanico, il parco della Favorita, le erbacce sui ruderi dei quartieri abbandonati, la malapianta. No scusi, quest'ultima non è una specie vegetale, è quell'erba cattiva che si chiama mafia. Che prospera tanto nel fango, peraltro.
Una volta vedeva sugli spalti striscioni contro il 41-bis, ora sente i tifosi che cantano "chi non salta un mafioso è". Non se l'aspettava, eh? Fa parte della natura umana. Succede. Professionisti della mafia e dilettanti dell'antimafia, più gli improvvisati (mafiosi e anti-mafiosi) della domenica pomeriggio. Salvo anticipi e posticipi, naturalmente.
Scelga lei da che parte stare. Tanto si parlerà ancora delle sue lacrime, del "fango", delle intercettazioni e del suo pentimento. Lei ci ha distorto e poi estorto la realtà – e non solo quella. Ma noi siciliani siamo fatti così, ci facciamo conquistare da chiunque. Greci, romani, arabi, normanni, spagnoli, francesi, piemontesi e americani. Ci mancava solo uno stupido salentino. Adesso anche lei è cosa nostra.
Voglia gradire la mia più sincera e profonda delusione. Addio.
sabato 29 giugno 2013
venerdì 21 giugno 2013
Meno male che Silvio c'era
[In questi giorni sto pensando molto a Milazzo. No, non la città. Mi piace, da lì si prendono le navi per le Eolie, bello il borgo vecchio, il castello, il promontorio: per carità, nulla da ridire – raffinerie a parte, naturalmente. Ma non è "la" Milazzo, è "il" Milazzo. Un cognome, non un nome di città. Milazzo, Silvio Milazzo]
Silvio Milazzo fu un politico di una certa rilevanza per la Sicilia e non solo. Se ancora oggi si dice con parecchia approssimazione che la Sicilia è un "laboratorio politico", beh, qualche responsabilità ce l'ha proprio lui, l'esponente Dc di Caltagirone che nel 1958 lanciò una sfida
al suo stesso partito con un'operazione che, semplicemente, è passata
alla storia come milazzismo. Come molti "-ismi", anche questo termine porta con sé accezioni negative e controverse. Il 30 ottobre 1958 Milazzo fu eletto presidente della Regione con i voti all'Ars dei partiti di destra e di sinistra, contro il candidato ufficiale indicato dai vertici della Dc, allora guidata da Amintore Fanfani.
Nel suo primo governo fece la mossa sorprendente: mise insieme esponenti del Pci e del Msi, comunisti e post-fascisti alleati "in nome dei superiori interessi dei siciliani", come dissero il segretario regionale comunista Emanuele Macaluso e il capogruppo missino all'Ars Dino Grammatico. Milazzo fu espulso dalla Dc e formò un nuovo partito, l'Unione Siciliana Cristiano Sociale (USCS), che ottenne 10 deputati all'Ars nelle elezioni regionali del 1959. L'esperienza del milazzismo finì presto: dopo le elezioni, il 12 agosto 1959 il presidente Milazzo formò un secondo governo, dove però non entrò più il Msi. C'erano le sinistre, i monarchici, i vertici di Sicindustria, allora guidata da Domenico La Cavera. Per non farsi mancare nulla, i "tecnici di laboratorio" misero tra gli ingredienti pure esponenti vicini alla mafia. Scandali, tentativi di corruzione, compravendita di parlamentari (sì, stiamo parlando del 1959...): ecco come e perché finì male l'avventura donchisciottesca di Silvio Milazzo.
La premessa è stata lunga, adesso bisogna spiegare perché penso a lui e alla sua operazione. Innanzitutto mi preme sottolineare che qualche anno fa don Mimì La Cavera ebbe a dire che il vero erede di Milazzo si chiama Raffaele Lombardo: il suo autonomismo, in fondo, altro non sarebbe (sarebbe...) che la prosecuzione di quella politica "in nome dei superiori interessi dei siciliani". Poi, e qui veniamo al punto, da qualche giorno in Sicilia è venuta fuori un'operazione che ha un vago sapore di milazzismo. La notizia è che al ballottaggio a Ragusa è arrivato il candidato del Movimento 5 Stelle Federico Piccitto, una boccata d'ossigeno in questo momento un po' complicato per la creatura politica di Beppe Grillo. E per provare a vincere, Piccitto rompe il tabù e per la prima volta il M5S si allea con altre liste. Primo e unico caso italiano. Apparentamento con alcune liste civiche, ma poi a Piccitto è arrivato pure il sostegno – non richiesto ma non rifiutato, a quanto pare – di Sel e La Destra. Cioè dei "comunisti" e dei "post-fascisti" (semplifico, lo so, ma le virgolette le hanno inventate apposta, ndr).
Due considerazioni. Beppe Grillo ha gridato all'inciucio perché l'altro candidato, Giovanni Cosentini, ex cuffariano già vicesindaco con il centrodestra, corre per Udc e Pd e si è apparentato con il Pdl. Tecnicamente, le larghe intese riproposte anche all'estremo sud della Sicilia. Grillo certifica un dato di fatto, innegabile. Come è un dato di fatto che qualcuno tra i 5 Stelle inizi a guardare oltre. Forse troppo?
Quello che a Ragusa si fa al ballottaggio, invece a Messina non si è voluto fare al primo turno, in ossequio alle rigide e non emendabili regole del MoVimento. Renato Accorinti, il pacifista e storico leader No Ponte arrivato a sorpresa al ballottaggio, aveva chiesto al M5S di correre insieme, tanto il programma e le istanze erano molto simili. La risposta fu negativa, perché Accorinti aveva nella sua lista esponenti verdi, ex Idv, rifondaroli, persino autonomisti. Lui ha preso il 23%, la candidata grillina il 2,87.
[P.S. Per la cronaca, il sindaco della città di Milazzo, Carmelo Pino, già uomo di Forza Italia, nel 2010 è stato eletto al ballottaggio con l'apparentamento tra le sue liste civiche riconducibili al cosiddetto Pdl Sicilia di allora (l'ala vicina ai finiani e a Micciché), il Pd e gli autonomisti di Raffaele Lombardo. Milazzo, milazzismo.]
Aggiornamento del 24 giugno 2013. Sorpresa – ma fino a un certo punto. A Ragusa ha vinto Piccitto del M5S e a Messina il no global Accorinti. Il laboratorio-Sicilia colpisce ancora? Forse. O più semplicemente perde il Pd che si allea con il centrodestra e con gli eredi della stagione cuffariana, in un malriuscito esperimento di milazzismo del Terzo millennio. Vincono i candidati che rompono con quegli schemi, evidentemente. Piccitto vince perché si è alleato con altri esponenti della "società civile" contro l'abdicazione del Pd, non per la discesa salvifica di Grillo a Ragusa. E Accorinti vince contro tutti, forse persino contro se stesso, dato che non avrà la maggioranza in consiglio comunale. Il messaggio, se ce n'è uno, farebbero bene a leggerlo dalle parti del Pd. Alla voce "larghe intese" e dintorni.
Una croce sopra Milazzo |
Nel suo primo governo fece la mossa sorprendente: mise insieme esponenti del Pci e del Msi, comunisti e post-fascisti alleati "in nome dei superiori interessi dei siciliani", come dissero il segretario regionale comunista Emanuele Macaluso e il capogruppo missino all'Ars Dino Grammatico. Milazzo fu espulso dalla Dc e formò un nuovo partito, l'Unione Siciliana Cristiano Sociale (USCS), che ottenne 10 deputati all'Ars nelle elezioni regionali del 1959. L'esperienza del milazzismo finì presto: dopo le elezioni, il 12 agosto 1959 il presidente Milazzo formò un secondo governo, dove però non entrò più il Msi. C'erano le sinistre, i monarchici, i vertici di Sicindustria, allora guidata da Domenico La Cavera. Per non farsi mancare nulla, i "tecnici di laboratorio" misero tra gli ingredienti pure esponenti vicini alla mafia. Scandali, tentativi di corruzione, compravendita di parlamentari (sì, stiamo parlando del 1959...): ecco come e perché finì male l'avventura donchisciottesca di Silvio Milazzo.
La premessa è stata lunga, adesso bisogna spiegare perché penso a lui e alla sua operazione. Innanzitutto mi preme sottolineare che qualche anno fa don Mimì La Cavera ebbe a dire che il vero erede di Milazzo si chiama Raffaele Lombardo: il suo autonomismo, in fondo, altro non sarebbe (sarebbe...) che la prosecuzione di quella politica "in nome dei superiori interessi dei siciliani". Poi, e qui veniamo al punto, da qualche giorno in Sicilia è venuta fuori un'operazione che ha un vago sapore di milazzismo. La notizia è che al ballottaggio a Ragusa è arrivato il candidato del Movimento 5 Stelle Federico Piccitto, una boccata d'ossigeno in questo momento un po' complicato per la creatura politica di Beppe Grillo. E per provare a vincere, Piccitto rompe il tabù e per la prima volta il M5S si allea con altre liste. Primo e unico caso italiano. Apparentamento con alcune liste civiche, ma poi a Piccitto è arrivato pure il sostegno – non richiesto ma non rifiutato, a quanto pare – di Sel e La Destra. Cioè dei "comunisti" e dei "post-fascisti" (semplifico, lo so, ma le virgolette le hanno inventate apposta, ndr).
Due considerazioni. Beppe Grillo ha gridato all'inciucio perché l'altro candidato, Giovanni Cosentini, ex cuffariano già vicesindaco con il centrodestra, corre per Udc e Pd e si è apparentato con il Pdl. Tecnicamente, le larghe intese riproposte anche all'estremo sud della Sicilia. Grillo certifica un dato di fatto, innegabile. Come è un dato di fatto che qualcuno tra i 5 Stelle inizi a guardare oltre. Forse troppo?
Quello che a Ragusa si fa al ballottaggio, invece a Messina non si è voluto fare al primo turno, in ossequio alle rigide e non emendabili regole del MoVimento. Renato Accorinti, il pacifista e storico leader No Ponte arrivato a sorpresa al ballottaggio, aveva chiesto al M5S di correre insieme, tanto il programma e le istanze erano molto simili. La risposta fu negativa, perché Accorinti aveva nella sua lista esponenti verdi, ex Idv, rifondaroli, persino autonomisti. Lui ha preso il 23%, la candidata grillina il 2,87.
[P.S. Per la cronaca, il sindaco della città di Milazzo, Carmelo Pino, già uomo di Forza Italia, nel 2010 è stato eletto al ballottaggio con l'apparentamento tra le sue liste civiche riconducibili al cosiddetto Pdl Sicilia di allora (l'ala vicina ai finiani e a Micciché), il Pd e gli autonomisti di Raffaele Lombardo. Milazzo, milazzismo.]
Aggiornamento del 24 giugno 2013. Sorpresa – ma fino a un certo punto. A Ragusa ha vinto Piccitto del M5S e a Messina il no global Accorinti. Il laboratorio-Sicilia colpisce ancora? Forse. O più semplicemente perde il Pd che si allea con il centrodestra e con gli eredi della stagione cuffariana, in un malriuscito esperimento di milazzismo del Terzo millennio. Vincono i candidati che rompono con quegli schemi, evidentemente. Piccitto vince perché si è alleato con altri esponenti della "società civile" contro l'abdicazione del Pd, non per la discesa salvifica di Grillo a Ragusa. E Accorinti vince contro tutti, forse persino contro se stesso, dato che non avrà la maggioranza in consiglio comunale. Il messaggio, se ce n'è uno, farebbero bene a leggerlo dalle parti del Pd. Alla voce "larghe intese" e dintorni.
lunedì 17 giugno 2013
Qui una volta era tutta emergenza
Dice il dizionario Treccani che è uso del linguaggio giornalistico affiancare alla parola "emergenza" un altro sostantivo, per definire una «situazione di estrema pericolosità pubblica, tale da richiedere l’adozione di interventi eccezionali». Sarà. Ma io di "emergenza rifiuti" (Napoli docet), per dirne una, leggo anche in documenti ufficiali: ordinanze, decreti, deleghe, nomine di commissari straordinari. Per anni abbiamo sentito parlare di emergenze, anche se questo termine ha ormai perso il senso dell'eccezionalità, della temporaneità, della straordinarietà. Situazioni che vanno avanti da decenni continuano a essere chiamate emergenze.
Parliamo di Sicilia. Dove c'è un'emergenza rifiuti che dura ufficialmente dal 30 giugno 1999, quando fu dichiarato per decreto del presidente del Consiglio dei Ministri lo stato di emergenza. Che doveva finire nel 2000. C'era ancora la lira, eravamo in un altro secolo e in un altro millennio. E il presidente del Consiglio era Massimo D'Alema. Però lo stato di emergenza è rimasto. Anche nelle leggi, ancora oggi.
A poche settimane dal quattordicesimo anniversario della dichiarazione di quello stato emergenziale, sta per essere convertito in legge il decreto 43/2013, del fu governo Monti, proprio sulle emergenze ambientali, ma non solo. Oltre ai terremoti dell'Abruzzo e dell'Emilia spuntano il porto di Piombino, la Tav Torino-Lione, l'Expo 2015, altre questioni datate (tipo i 3 milioni di euro di spesa concessi nel 2013 a Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni «per assicurare la continuazione del servizio pubblico di trasporto marittimo, legato all'aumento di traffico passeggeri del periodo estivo», cito testualmente dall'articolo 6 del decreto), e poi, appunto, l'emergenza rifiuti siciliana, più precisamente palermitana, e quella campana.
Ecco la ratio della legislazione d'emergenza. Emergenza è tutto ciò che non si riesce a risolvere con strumenti normali, oppure una questione ritenuta straordinaria e strategica, tipo Tav ed Expo. Alcuni giornalisti e molti politici direbbero invece che gli sbarchi nel Canale di Sicilia sono "emergenza immigrazione". La legge, insomma, dice che in Sicilia l'emergenza è
quella dei rifiuti. Certo, i cassonetti pieni – e se sono vuoti è perché sono stati incendiati... – e le strade sommerse, la differenziata inferiore al 10% della raccolta totale (la Sicilia è la peggiore regione italiana), per non parlare dello smaltimento di rifiuti speciali e pericolosi, confermano che il problema c'è, nessuno potrebbe mai negarlo. Però non ho potuto fare a meno di riflettere su questa logica.
Negli stessi giorni in cui in commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera si certifica l'emergenza rifiuti siciliana tra le urgenze straordinarie, due rapporti economici hanno catturato la mia attenzione. Uno è il rapporto Urbes sulla qualità della vita e la soddisfazione della popolazione nelle province. In tanti sostengono che non può bastare il Pil per definire il benessere della gente e così arriva l'indice Bes (benessere equo sostenibile). Nel cui calcolo rientra anche la "soddisfazione per la propria vita". I siciliani? Secondo il rapporto sono i penultimi in Italia: solo il 28,9% è soddisfatto, peggio solo i campani (21,9%). Il secondo rapporto è la stima dell'Osservatorio Confesercenti sugli effetti della crisi economica sugli affari dei negozi al dettaglio. Nei primi quattro mesi del 2013, in Sicilia hanno chiuso definitivamente 1.557 esercizi commerciali – primato negativo tra le regioni italiane – e se le chiusure andranno avanti con gli stessi ritmi, al primo gennaio 2014 nell'Isola, una terra votata all'agricoltura, potrebbero abbassare le saracinesche 1.080 negozi di alimentari mentre ne aprirebbero soltanto 288 nuovi. E Palermo è la quarta provincia, dopo Roma, Torino e Napoli, per il saldo negativo aperture-chiusure.
Il problema vero è che di parametri così negativi, di dati sconfortanti, di ragioni per scoraggiare la soddisfazione, l'ottimismo e l'autostima del popolo siciliano, ce ne sono tanti, purtroppo. La munnizza per le strade si nota più degli altri perché è brutta e puzza.
Parliamo di Sicilia. Dove c'è un'emergenza rifiuti che dura ufficialmente dal 30 giugno 1999, quando fu dichiarato per decreto del presidente del Consiglio dei Ministri lo stato di emergenza. Che doveva finire nel 2000. C'era ancora la lira, eravamo in un altro secolo e in un altro millennio. E il presidente del Consiglio era Massimo D'Alema. Però lo stato di emergenza è rimasto. Anche nelle leggi, ancora oggi.
A poche settimane dal quattordicesimo anniversario della dichiarazione di quello stato emergenziale, sta per essere convertito in legge il decreto 43/2013, del fu governo Monti, proprio sulle emergenze ambientali, ma non solo. Oltre ai terremoti dell'Abruzzo e dell'Emilia spuntano il porto di Piombino, la Tav Torino-Lione, l'Expo 2015, altre questioni datate (tipo i 3 milioni di euro di spesa concessi nel 2013 a Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni «per assicurare la continuazione del servizio pubblico di trasporto marittimo, legato all'aumento di traffico passeggeri del periodo estivo», cito testualmente dall'articolo 6 del decreto), e poi, appunto, l'emergenza rifiuti siciliana, più precisamente palermitana, e quella campana.
Nella vita bisogna saper dire di no... |
Negli stessi giorni in cui in commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera si certifica l'emergenza rifiuti siciliana tra le urgenze straordinarie, due rapporti economici hanno catturato la mia attenzione. Uno è il rapporto Urbes sulla qualità della vita e la soddisfazione della popolazione nelle province. In tanti sostengono che non può bastare il Pil per definire il benessere della gente e così arriva l'indice Bes (benessere equo sostenibile). Nel cui calcolo rientra anche la "soddisfazione per la propria vita". I siciliani? Secondo il rapporto sono i penultimi in Italia: solo il 28,9% è soddisfatto, peggio solo i campani (21,9%). Il secondo rapporto è la stima dell'Osservatorio Confesercenti sugli effetti della crisi economica sugli affari dei negozi al dettaglio. Nei primi quattro mesi del 2013, in Sicilia hanno chiuso definitivamente 1.557 esercizi commerciali – primato negativo tra le regioni italiane – e se le chiusure andranno avanti con gli stessi ritmi, al primo gennaio 2014 nell'Isola, una terra votata all'agricoltura, potrebbero abbassare le saracinesche 1.080 negozi di alimentari mentre ne aprirebbero soltanto 288 nuovi. E Palermo è la quarta provincia, dopo Roma, Torino e Napoli, per il saldo negativo aperture-chiusure.
Il problema vero è che di parametri così negativi, di dati sconfortanti, di ragioni per scoraggiare la soddisfazione, l'ottimismo e l'autostima del popolo siciliano, ce ne sono tanti, purtroppo. La munnizza per le strade si nota più degli altri perché è brutta e puzza.
martedì 11 giugno 2013
La découverte de l'eau chaude
Qualcuno dica per favore al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di stare attento quando va in vacanza. Ogni anno, ogni estate, il capo dello Stato e donna Clio se ne vanno a Stromboli, nelle isole Eolie. E io, giustamente, li invidio. Però qualche giorno fa scopro che il quotidiano francese Libération stila un elenco di spiagge da evitare assolutamente. «Non tutte le spiagge rispondono al cliché delle cartoline», e fin qui siamo d'accordo. Ma nel loro «giro del mondo dei posti che non vi raccomandiamo», i colleghi francesi ci informano che, tra litorali infestati da meduse velenose, isole stra-popolate di uccelli marini e spiagge sorvolate a bassissima quota da Boeing in atterraggio, anche Stromboli merita di essere segnalata tra «le più improbabili».
Pourquoi? Per le lingue di fuoco del vulcano, quelle della Sciara, che quando raggiungono il mare portano la temperatura dell'acqua a 90 gradi. Beh, mi sembra un motivo inappuntabile. Mi chiedo solo perché l'unica spiaggia italiana da evitare sia proprio quella di Stromboli, la cui unica colpa è essere uno dei vulcani attivi più importanti al mondo (non a caso geologi e vulcanologi hanno classificato a livello internazionale la "fase stromboliana" per descrivere l'attività eruttiva esplosiva di media intensità con lancio di lapilli e ceneri).
Immediatamente penso a tutti i litorali cementificati, a quelli inquinati, agli scarichi industriali, alle mucillagini e ad altre amenità che caratterizzano molti chilometri di coste italiane.
La guida di Libération non ha sicuramente la pretesa di essere "scientifica" e riconosco anche una certa ironia in alcune descrizioni. Mi lascia solo perplesso, ripeto, che ci sia Stromboli. Non per puro campanilismo siculo. Certe colate laviche in Islanda o alle Hawaii possono essere pure più pericolose, temo.
L'ultima eruzione tragica dello Stromboli è quella del 1930: 5 morti e decine di feriti. Pare che allora, come già nel 1919, le esplosioni furono causate da infiltrazioni di acqua marina nel camino vulcanico (al contrario di quanto avvertono da Libé, fu l'acqua a entrare in contatto con il magma e non viceversa!, ndr).
Il monito di Libération è rivolto, ça va sans dire, al turista che, intelligente e avveduto, vuole scegliere con oculatezza la spiaggia ideale per le sue vacanze. Dubito infatti che dalla Francia si siano preoccupati dei disservizi e dei disagi con cui hanno a che fare quelli che a Stromboli ci vivono. Immagino che sull'isola, in particolare nel piccolo borgo di Ginostra, siano disposti a barattare un po' di acqua rovente con meno problemi logistici quotidiani, tipo le difficoltà nei collegamenti marittimi, la sospensione di certi servizi (postali, medici e idrici, per esempio), persino le messe razionate perché la chiesa è ancora da restaurare. O, per restare a Ginostra, gli impianti elettrici vecchi che costringono i pochi residenti a continui blackout. E così qualche settimana fa alcuni ginostrani si sono rivolti addirittura alla cancelliera tedesca Angela Merkel, pregandola di portare all'Unione Europea le istanze del borgo. No, amici francesi, non è un sussulto estremo di europeismo, è che a Ginostra il 20% degli abitanti (10 su 50) è tedesco, di quei nordici che a Stromboli sono arrivati nonostante l'acqua calda. Sempre lì, a Ginostra, fino all'autunno scorso, il problema era la mancanza di una sezione elettorale per i 37 elettori del borgo, che solo dalle politiche 2013 hanno potuto votare senza doversi spostare in barca da un'altra parte dell'isola.
Stiamo parlando comunque dell'isola che fece da sfondo a uno dei classici del neorealismo italiano, Stromboli terra di Dio, di Roberto Rossellini con Ingrid Bergman (1950). A quel tempo, al massimo, la temperatura molto alta che avrebbe sconsigliato di fare un giro da quelle parti era dovuta piuttosto alla guerra tra la Bergman e Anna Magnani che si fece soffiare dalla diva svedese l'uomo (Rossellini appunto) e il ruolo di protagonista e per ripicca montò a Lipari la produzione di Vulcano di William Dieterle... ("guerra" che fece ri-scoprire le Eolie come mèta turistica, en passant)
Se poi a Libération non sono cinefili e preferiscono la letteratura, ricordiamo che già nel 1864 il loro connazionale Jules Verne ambientò a Stromboli la conclusione di Viaggio al centro della terra.
Un po' di rispetto, colleghi transalpini. Sapete come lo chiamano i suoi abitanti, lo Stromboli? Iddu, Lui. E pazienza se erutta e l'acqua si fa troppo calda ogni tanto. Come direbbe lo zio di Johnny Stecchino, «iè la natura».
Pourquoi? Per le lingue di fuoco del vulcano, quelle della Sciara, che quando raggiungono il mare portano la temperatura dell'acqua a 90 gradi. Beh, mi sembra un motivo inappuntabile. Mi chiedo solo perché l'unica spiaggia italiana da evitare sia proprio quella di Stromboli, la cui unica colpa è essere uno dei vulcani attivi più importanti al mondo (non a caso geologi e vulcanologi hanno classificato a livello internazionale la "fase stromboliana" per descrivere l'attività eruttiva esplosiva di media intensità con lancio di lapilli e ceneri).
Immediatamente penso a tutti i litorali cementificati, a quelli inquinati, agli scarichi industriali, alle mucillagini e ad altre amenità che caratterizzano molti chilometri di coste italiane.
La guida di Libération non ha sicuramente la pretesa di essere "scientifica" e riconosco anche una certa ironia in alcune descrizioni. Mi lascia solo perplesso, ripeto, che ci sia Stromboli. Non per puro campanilismo siculo. Certe colate laviche in Islanda o alle Hawaii possono essere pure più pericolose, temo.
L'ultima eruzione tragica dello Stromboli è quella del 1930: 5 morti e decine di feriti. Pare che allora, come già nel 1919, le esplosioni furono causate da infiltrazioni di acqua marina nel camino vulcanico (al contrario di quanto avvertono da Libé, fu l'acqua a entrare in contatto con il magma e non viceversa!, ndr).
Il monito di Libération è rivolto, ça va sans dire, al turista che, intelligente e avveduto, vuole scegliere con oculatezza la spiaggia ideale per le sue vacanze. Dubito infatti che dalla Francia si siano preoccupati dei disservizi e dei disagi con cui hanno a che fare quelli che a Stromboli ci vivono. Immagino che sull'isola, in particolare nel piccolo borgo di Ginostra, siano disposti a barattare un po' di acqua rovente con meno problemi logistici quotidiani, tipo le difficoltà nei collegamenti marittimi, la sospensione di certi servizi (postali, medici e idrici, per esempio), persino le messe razionate perché la chiesa è ancora da restaurare. O, per restare a Ginostra, gli impianti elettrici vecchi che costringono i pochi residenti a continui blackout. E così qualche settimana fa alcuni ginostrani si sono rivolti addirittura alla cancelliera tedesca Angela Merkel, pregandola di portare all'Unione Europea le istanze del borgo. No, amici francesi, non è un sussulto estremo di europeismo, è che a Ginostra il 20% degli abitanti (10 su 50) è tedesco, di quei nordici che a Stromboli sono arrivati nonostante l'acqua calda. Sempre lì, a Ginostra, fino all'autunno scorso, il problema era la mancanza di una sezione elettorale per i 37 elettori del borgo, che solo dalle politiche 2013 hanno potuto votare senza doversi spostare in barca da un'altra parte dell'isola.
Stiamo parlando comunque dell'isola che fece da sfondo a uno dei classici del neorealismo italiano, Stromboli terra di Dio, di Roberto Rossellini con Ingrid Bergman (1950). A quel tempo, al massimo, la temperatura molto alta che avrebbe sconsigliato di fare un giro da quelle parti era dovuta piuttosto alla guerra tra la Bergman e Anna Magnani che si fece soffiare dalla diva svedese l'uomo (Rossellini appunto) e il ruolo di protagonista e per ripicca montò a Lipari la produzione di Vulcano di William Dieterle... ("guerra" che fece ri-scoprire le Eolie come mèta turistica, en passant)
Se poi a Libération non sono cinefili e preferiscono la letteratura, ricordiamo che già nel 1864 il loro connazionale Jules Verne ambientò a Stromboli la conclusione di Viaggio al centro della terra.
Un po' di rispetto, colleghi transalpini. Sapete come lo chiamano i suoi abitanti, lo Stromboli? Iddu, Lui. E pazienza se erutta e l'acqua si fa troppo calda ogni tanto. Come direbbe lo zio di Johnny Stecchino, «iè la natura».
Iscriviti a:
Post (Atom)