Qual è la "regione che vanta il Patrimonio Unesco più ricco d’Italia"? Non ho dubbi: rispondo sempre "la Sicilia". Ieri però ho vacillato, perché uno spot radiofonico mi ha rivelato che i campioni dell'Unesco d'Italia sono in realtà i lombardi. Così pare, così dice la Regione Lombardia. E in effetti i numeri non mentono: Lombardia batte Sicilia 10 a 8, tra siti (9 lombardi, 6 siciliani) e patrimoni immateriali dell'Umanità (la Trinacria ne ha due, la Rosa camuna uno).
Ma il punto è un altro. Quattro dei nove siti Unesco lombardi sono in realtà condivisi con altre regioni italiane e addirittura con Stati esteri (la Svizzera). Quindi, a rigor di logica molto pignola, i numeri cambiano. Figurarsi però se ha senso fare campanilismi su temi così universali. Anzi, da siciliano che ha vissuto due anni a Milano, devo riconoscere un grande merito: quello spot ufficiale pubblicizzava la festa della Regione Lombardia (29 maggio, celebrazione della battaglia di Legnano), e la bravura dei lombardi è proprio quella di saper promuovere con serietà "la regione che vanta il Patrimonio Unesco più ricco d’Italia".
Mentre la Sicilia, regione che vanterebbe un grandissimo patrimonio, tutto suo, da condividere con il resto del mondo e dell'Umanità, continua a peccare. Cementificazione, speculazione edilizia e industriale, degrado ambientale, vandalismo, sciatteria istituzionale, insensibilità politica: ci proviamo in tutti i modi a mettere a repentaglio il nostro immenso "heritage" (non solo Unesco).
Perciò ho tirato finalmente un sospiro di sollievo, quando ho letto che il Tar Sicilia ha respinto un ricorso assurdo e ignobile presentato da alcuni dipendenti dell'Assemblea Regionale Siciliana (la famigerata Ars, il nostro parlamentino regionale) contro la pedonalizzazione dell'area di Palazzo dei Normanni. Ricorso contro: il Comune di Palermo, la Fondazione Federico II e l'Unesco Sicilia (sic!). La pedonalizzazione priverebbe i solerti e indefessi dipendenti regionali del parcheggio davanti all'Ars. Ah, naturalmente, vietare quello spazio al traffico automobilistico è necessario al riconoscimento del "percorso Arabo-Normanno" (con il palazzo dell'Ars e la Cappella Palatina) candidato a diventare patrimonio Unesco.
Adesso fortunatamente il Tar ha bocciato questa ottusa presa di posizione. Però con motivazioni perlomeno parziali e incomplete, che puntano su questioni molto locali. I giudici dicono: non esiste un "diritto al parcheggio" per i dipendenti regionali, «semmai può non essere facilmente spiegabile come mai un provvedimento di tal genere (la pedonalizzazione, ndr) non sia stato adottato precedentemente». Insomma, il Comune avrebbe dovuto pensarci prima. Ma il Tar non accenna all'Unesco. Anche perché lo sanno tutti che la vera piaga di Palermo è il traffico...
sabato 30 maggio 2015
sabato 23 maggio 2015
Gli eroi son tutti giovani e belli
La mafia è nemica della bellezza. Giovanni e Francesca Falcone erano una bella coppia. Ma solo ora, a 23 anni di distanza, mi sono reso conto di quanto fossero – pardon, siano – belli anche Vito, Rocco e Antonio. Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, i tre poliziotti della scorta di Falcone uccisi il 23 maggio 1992, anche loro a Capaci, anche loro sotto la devastante violenza del tritolo mafioso. Begli sguardi, bellissimi sorrisi. La mafia ha ammazzato questa bellezza. Erano giovani padri, mariti, fidanzati, al massimo trentenni.
Ho pensato a un'altra foto, uno stupendo ritratto di Rosaria. In bianco e nero, lei a lutto, bella, giovane, di una serenità dolente. La foto è della grandissima Letizia Battaglia. Vidi quella foto, in originale, esposta (non capii mai fino in fondo il perché...) alla mostra immagini inquietanti / disquieting images alla Triennale di Milano a fine 2010, curata da Germano Celant e Melissa Harris. In mezzo a foto di violenza, morte, orrori e stranezze, spiccava anche quel ritratto. La cui forza dirompente, a suo modo "inquietante", stava negli occhi chiusi della giovane Rosaria. Lo stesso sguardo timido ma forte e intenso che faceva sorridere l'innamoratissimo – e bellissimo – Vito.
Detesto la retorica "istituzionale" in queste occasioni; se proprio deve esserci retorica, che sia quella delle emozioni, quella che mi porto dietro da quando ho 9 anni. E che mi toglie il respiro ogni volta che guardo le foto di quelle persone così belle e sorridenti. In particolare il largo sorriso di Vito Schifani oggi mi ha dato una scossa. Perché ho pensato a Rosaria, la moglie, quella bellissima e caparbia ragazza di 22 anni (Vito ne aveva 27, il figlio Emanuele "Manù" – ora nella Guardia di Finanza – era nato da appena 4 mesi) di cui tutti ricordiamo le frasi rivolte ai mafiosi durante i funerali. «Vi perdono, ma inginocchiatevi».
Vito Rocco Antonio
giovedì 21 maggio 2015
La Gioiosa Annarita
Gioiosa Marea è un nome bellissimo. È un paese in provincia di Messina, tra Patti e Capo d'Orlando. È il paese di Annarita Sidoti. Lo scricciolo di Gioiosa se n'è andato, a neanche 45 anni. Lo sport, non mi stancherò mai di ripeterlo, è una questione molto più seria di quanto vorrebbero far credere. E quando i nostri conterranei vincono, non è solo il lustro, la fama, la notorietà che anche un piccolo paesino potrà vantare. Anche nel mondo globalizzato, ci sono tante piccole patrie che sentiamo nostre e per le quali ci esaltiamo, anche solo per una vittoria sportiva. E quando Annarita Sidoti, 1 metro e 50 per una quarantina di chili, vinceva con quella curiosa andatura battendo marciatrici apparentemente più forti di lei, era tutto l'orgoglio siciliano a vincere. Lo ammetto. A volte i campanilismi sono risibili, altre volte no. Nel caso della piccola grande donna di Gioiosa, incollati davanti alla tv sentivamo tutti – e lo sentiamo ancora – un senso di partecipazione emotiva che veniva da quel sorriso e da quella forza, quella caparbietà che sembrava impossibile dentro quel corpicino. Annarita Sidoti era una straordinaria atleta, campionessa mondiale ed europea di marcia negli anni Novanta, una donna di carattere come solo certe piccole grandi donne siciliane sanno essere, una mamma, un modello. Ha fatto anche l'assessore allo sport a Gioiosa Marea, giunta di centrosinistra. Dopo le medaglie, il desiderio più grande, diceva vent'anni fa, è «fare una pista e un impianto sportivo al mio paese».
Ora, a 44 anni, Annarita ha lasciato Gioiosa (nata lì, morta lì). Per sempre, ma solo fisicamente. Perché Gioiosa Marea è Annarita Sidoti, e Annarita Sidoti è Gioiosa Marea. La marcia è finita ma il ricordo resterà sempre. Se l'è portata via un tumore al cervello contro il quale combatteva da anni. Mi dispiace davvero tanto. Sul serio. Senza retorica, abbiamo perso un simbolo della Sicilia. Che sa redimersi, altroché. Che marcia a testa alta anche se è più piccola degli altri. E vince tenendo i piedi saldamente per terra.
mercoledì 6 maggio 2015
Dura lex sed Rolex
Dopo aver già scritto al presidente del Consiglio e al ministro dell'Interno, con tanto di cassa di risonanza sulla stampa nazionale, non credo che arriveranno pure a me repliche dalla Rolex. Anzi, Rolex®: tra le lamentele di Gianpaolo Marini, ad della consociata italiana del gruppo svizzero, c'è infatti anche quella per l'utilizzo della parola «in caratteri minuscoli ed in forma sostantivata generica» che «non risponde a correttezza ed è suscettibile di diluire e pregiudicare il suo valore e la sua distintività» (esclusività insita nello stesso nome, che per alcuni deriverebbe dal francese "horlogerie exquise", letteralmente "orologeria squisita", ndr).
La ditta svizzera, simbolo di lusso e stile, e pure di tanti stereotipi sulla ricchezza, si è lamentata perché Renzi e Alfano, dopo le azioni dei black bloc a Milano contro Expo, avevano accusato i "soliti farabutti col cappuccio e figli di papà con il rolex" (un minuscolo che però non so come abbiano fatto a distinguere in video...). Insomma gli elvetici ci sono rimasti male per la pubblicità negativa.
Curioso. Perché, come gente più titolata ha notato prima e meglio di me, la Rolex-marchio-registrato non fiata quando viene fuori che suoi fan sono anche corrotti, corruttori, personaggi controversi e mafiosi di vario cabotaggio.
[Per la cronaca, uno dei più famosi testimonial (postumi) di Rolex è stato Che Guevara...]
La reazione piccata di Rolex, dunque, non è valsa in passato quando boss di spicco della mafia sono stati arrestati con gioielli di meccanica elvetica al polso. Nel 2007, per esempio, Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio, tra gli ultimi veri capimafia catturati in Sicilia, indossavano un Rolex Daytona ciascuno al momento dell'arresto. Così come l'anno prima Francesco Franzese, ex braccio destro dei presunti eredi di Provenzano, aveva in casa, o meglio nel covo in cui si nascondeva latitante, ben 15 orologi Rolex. Allora non si levò alcuna voce indignata, né dal quartier generale di Ginevra né da Milano, di cui Rolex Italia spa è "cittadino esemplare", come dice Marini. E probabilmente, nel 2013, non gli era arrivata all'orecchio la notizia di un pizzaiolo tra New York, Bagheria e i clan siculo-canadesi, tale Carbone, diventato pentito di mafia: aveva il Rolex d'oro di un defunto boss spagnolo del narcotraffico, e piuttosto che farsi "tradire" dal possesso di quell'orologio preferì confessare tutto ai carabinieri. Anche in quel caso, nessuno ha espresso «profondo rincrescimento e disappunto» per «l'inaccettabile affiancamento».
Il Rolex, checché ne dica il management, è uno status symbol pure per chi vive di crimine. Persino per i mafiosi che con un bell'orologio volevano corrompere Fantozzi (alla riscossa, 1990). Il ragioniere rifiutò. Non so se Rolex s'indignò con Villaggio per la pubblicità negativa...
La ditta svizzera, simbolo di lusso e stile, e pure di tanti stereotipi sulla ricchezza, si è lamentata perché Renzi e Alfano, dopo le azioni dei black bloc a Milano contro Expo, avevano accusato i "soliti farabutti col cappuccio e figli di papà con il rolex" (un minuscolo che però non so come abbiano fatto a distinguere in video...). Insomma gli elvetici ci sono rimasti male per la pubblicità negativa.
Curioso. Perché, come gente più titolata ha notato prima e meglio di me, la Rolex-marchio-registrato non fiata quando viene fuori che suoi fan sono anche corrotti, corruttori, personaggi controversi e mafiosi di vario cabotaggio.
La reazione piccata di Rolex, dunque, non è valsa in passato quando boss di spicco della mafia sono stati arrestati con gioielli di meccanica elvetica al polso. Nel 2007, per esempio, Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio, tra gli ultimi veri capimafia catturati in Sicilia, indossavano un Rolex Daytona ciascuno al momento dell'arresto. Così come l'anno prima Francesco Franzese, ex braccio destro dei presunti eredi di Provenzano, aveva in casa, o meglio nel covo in cui si nascondeva latitante, ben 15 orologi Rolex. Allora non si levò alcuna voce indignata, né dal quartier generale di Ginevra né da Milano, di cui Rolex Italia spa è "cittadino esemplare", come dice Marini. E probabilmente, nel 2013, non gli era arrivata all'orecchio la notizia di un pizzaiolo tra New York, Bagheria e i clan siculo-canadesi, tale Carbone, diventato pentito di mafia: aveva il Rolex d'oro di un defunto boss spagnolo del narcotraffico, e piuttosto che farsi "tradire" dal possesso di quell'orologio preferì confessare tutto ai carabinieri. Anche in quel caso, nessuno ha espresso «profondo rincrescimento e disappunto» per «l'inaccettabile affiancamento».
Il Rolex, checché ne dica il management, è uno status symbol pure per chi vive di crimine. Persino per i mafiosi che con un bell'orologio volevano corrompere Fantozzi (alla riscossa, 1990). Il ragioniere rifiutò. Non so se Rolex s'indignò con Villaggio per la pubblicità negativa...
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