A un
crujffiano (e ruffiano) come Johan Van Marten non poteva
piacere, certo. Un cultore del calcio totale della perfetta "arancia
meccanica" olandese degli anni Settanta prova semplicemente ribrezzo per
il proverbiale catenaccio italiano. Vabbè, noi abbiamo vinto quattro
mondiali e loro... Tra l'altro uno di questi mondiali, il più evocato ed
evocativo, l'ha vinto proprio quello che il buon Johan non poteva
sopportare.
Alt.
Chi è Johan Van Marten? Il nome è talmente olandese che... non è vero.
Infatti è un personaggio di fantasia, nato dalla penna di
Amara Lakhous,
scrittore e antropologo italo-algerino, autore del romanzo
Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio.
Johan, cinefilo e aspirante regista, ce l'aveva in particolare con un
calciatore italiano (ecco cosa c'entrano Crujff e il mondiale del 1982).
Molti si erano convinti che avesse problemi a parlare italiano quando
diceva fiero «Io non sono GENTILE». Ma non era un'assurda ammissione di
cattiveria e arroganza: Johan Van Marten non è gentile, nel senso che
non è Gentile. Claudio Gentile.
L'adepto del Profeta del gol
vedeva nel rude difensore che maltrattò Maradona ai mondiali di Spagna
1982 il simbolo peggiore dell'Italia peggiore. Giusto per sottolineare
che il calcio è una cosa molto seria!
Un biondo del nord Europa contro un meridionale, molto meridionale, dalla - diciamo così - carnagione scura.
Claudio Gentile, originario di Noto, quindi
di stirpe sicula,
in realtà è nato molto a sud di Tunisi. Gentile infatti è nato a
Tripoli, figlio di quell'emigrazione italiana in Libia mediamente poco
nota ai nostri connazionali. In alcuni almanacchi addirittura figura
come l'unico calciatore africano in Italia negli anni Settanta - gli
stessi anni, guarda un po', del calcio totale che tanto piace a Johan Van Marten. Lo
fregava in effetti il colorito.
Questo aspetto, soprattutto oggi,
ha un significato serio. Quando scrivevo la mia tesi in antropologia
culturale sui calciatori di colore, il nome di Gentile era venuto fuori
dall'analisi di un libro molto importante per la "disciplina"
(virgolette obbligatorie, una vera disciplina ovviamente non esiste,
ndr),
La razza in campo del sociologo Mauro Valeri. Per spiegare i ritardi del calcio nell'accettare i
Black Italians,
Valeri scriveva che nel caso di Gentile «il colore "abbronzato" della
pelle passa quasi inosservato, ma sembrerebbe quasi per non voler aprire
alcuni tristi capitoli della storia italiana».
Io
non credo che Gentile sia scuro perché africano e/o viceversa. Di certo
oggi le sue origini meritano una particolare attenzione. L'ex ct
dell'Under 21, soprannominato "Gheddafi" quando giocava, potrebbe tornare a
casa. Un emigrante di ritorno, ma di lusso. A Gentile è stata infatti
offerta la panchina della nazionale di calcio della nuova Libia, quella
che gioca
sotto la bandiera rossoneroverde e non
più sotto quella verde del Colonnello. Gentile sarebbe contentissimo, ha
fatto sapere, di tornare a Tripoli, "per affetto".
Certo, prima
bisogna che si chiarisca la situazione nel Paese e venga arrestato
Gheddafi, quello "vero". Poi si vedrà. Gentile intanto ha già detto che sarebbe
interessante organizzare un'amichevole con la nazionale italiana.
Insomma, sarebbe un bel riscatto per il calcio libico, dopo quel gran
figlio di papà di Saadi. Il vero Gheddafi, nel calcio, rimane comunque
Claudio Gentile.
E credo che pure il progressista e, a suo modo, idealista Johan Van Marten potrebbe esserne contento.
Aggiornamento del 20 ottobre 2011. Quando si dice il tempismo. Gheddafi, quello "vero", è morto. "Gheddafi", l'altro, l'allenatore, è ancora più contento all'idea di poter finire sulla panchina della Libia.
Morto un Gheddafi, se ne fa un altro.