domenica 18 settembre 2011

Il senatore nel pallone

Fabrizio Miccoli e Mauro Lauricella
È bastata una foto e si è scatenato l'inferno. Fabrizio Miccoli e i suoi rapporti con la mafia. Il capitano del Palermo, quello che piange quando segna contro il "suo" Lecce, quello con il tatuaggio del Che, quello che dedicò agli operai della tormentata Fiat di Termini Imerese una memorabile vittoria contro la Juventus, quello emarginato da Luciano Moggi. Insomma, uno dei pochi personaggi apparentemente positivi nel calcio italiano. Non bisogna essere garantisti a oltranza per pensare che una foto con il figlio di un boss non sia automaticamente una patente di mafiosità. Però il "Romario del Salento" deve chiarire la sua posizione.
Che Miccoli sia stato immortalato sulle tribune dello stadio di Palermo con l’incensurato Mauro Lauricella, figlio di Antonino "Scintilluni", il re del pizzo appena arrestato, è il segno però che c'è qualcosa di storto nel calcio – e non solo quello siciliano. Di rapporti tra calcio e mafia, tra calciatori e mafiosi, sono state riempite pagine e pagine di cronaca italiana. C'è del marcio ed è impossibile negarlo. La criminalità organizzata usa anche il calcio, soprattutto a livello locale, come strumento per il controllo del territorio e per garantirsi un certo "consenso". Salendo di categorie, si finisce nella serie A dei calciatori che hanno avuto rapporti più o meno diretti con esponenti mafiosi. In questi giorni si è scatenata una corsa a ripescare foto d'archivio e storie impolverate di calciatori fotografati con boss, di giocatori con parentele imbarazzanti, di sportivi con soci d'affari e frequentazioni degni delle attenzioni delle procure antimafia. Maradona, Cannavaro, Balotelli, Sculli e così via.

Gaetano D'Agostino
(ai tempi del Messina)
Mi ha stupito che da queste "carrellate" sia stato omesso un altro calciatore di serie A la cui storia ha intrecciato – non per colpa sua, lo chiarisco subito – nomi di rilievo della galassia mafiosa. Aveva 12 anni, Gaetano, quando fece un provino al Milan. Oggi Gaetano, che di cognome fa D'Agostino, gioca a Siena, dopo Roma, Bari, Messina, Udinese e Fiorentina. Una voce incontrollata e improbabile nel 2009 lo voleva al Real Madrid, ma la sua carriera è rimasta discreta e non è decollata. E tutto nonostante quel provino del 1994.
Come fece quel ragazzino palermitano delle giovanili rosanero ad approdare al centro sportivo di Carnago, Varese, meglio noto come Milanello? Pare grazie a un certo Marcello Dell'Utri. Durante il processo al senatore (poi condannato in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, per la cronaca, ndr) è emerso che il padre di D'Agostino, Giuseppe, avrebbe ospitato i fratelli Graviano, boss di Brancaccio, durante la loro latitanza e a loro aveva chiesto di interessarsi per un provino del figlio nelle giovanili del Milan.
I Graviano si rivolsero dunque a Dell'Utri e il giovane Gaetano effettivamente fece il provino nel 1994. Non se ne fece nulla, ma di certo i dirigenti del Milan e i responsabili del settore giovanile hanno ammesso che quella selezione era stata "caldeggiata" dallo stesso Dell'Utri. Che naturalmente ha smentito. Eppure già nel 1992 sulla sua agenda c'era il nome di Gaetano D'Agostino: il padre del ragazzo avrebbe parlato con un commerciante di Brancaccio, Carmelo Barone, che poi avrebbe segnalato il piccolo centrocampista a Dell'Utri.
Nelle photogallery e nei pezzi di riepilogo sul rapporto tra mafia e calciatori, allora andrebbero aggiunti il nome e la storia dell'ignaro e incolpevole Gaetano D'Agostino. Chissà, forse parlarne sembrava un accanimento nei confronti del proprietario del Milan...

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