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2008: direttore Concita De Gregorio,
pubblicità di Oliviero Toscani |
Alcuni audaci tenevano in tasca
l'Unità. Qualcuno invece era extra-parlamentare, quindi pure il giornale doveva esserlo:
il manifesto poteva andar bene.
Lotta Continua, poi... Ma i partiti crescono e cambiano, e anche gli audaci sentono il peso dell'età e delle trasformazioni, politiche e ideologiche.
Così chi continuava a portare in tasca
l'Unità, restava "fedele alla linea". Anche quando la linea stava cambiando. Altri, invece, non perdevano l'audacia e sceglievano la linea della
Liberazione. O della
Rinascita, perché no?
La crisi profonda, cronica, dei giornali della sinistra italiana va al di là delle questioni economiche. Sembra un altro caso di
tafazzismo. Dalle parti del (fu) Pci era, anzi è, così. Ma anche altrove, nel variegato e variopinto (tonalità di rossi più o meno accesi e/o sbiaditi) mondo della sinistra. Vedi l'
Avanti!, per esempio: senza articolo era quello socialista di una volta, con l'articolo davanti era roba di De Gregorio e Lavitola. Ma ora la crisi ha colpito anche
Europa, cioè il versante "bianco" del centrosinistra, l'ex giornale della Margherita e organo ufficiale del Pd (più o meno insieme all'
Unità). Ecco: come farsi un giornale e non saperlo gestire. In pratica tutti i giornali di sinistra sembrano destinati a finire maluccio. E se per salvare
l'Unità si fanno avanti Daniela Santanchè e Paola Ferrari...
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1958: la mafia bombardava
(alcun)i giornali |
Chissà se Matteo Renzi farà qualcosa per i due giornali del suo partito, o si limiterà a decretarne la fusione. Il presidente del Consiglio è giovane. Probabilmente alcuni di quei giornali non li ha mai letti, per ragioni anagrafiche e "culturali". Tra i tanti quotidiani
de sinistra che hanno appeso il piombo al chiodo, ce n'è uno siciliano, molto importante. Chiudeva in un periodo che Renzi dovrebbe ricordare. Lui dice spesso di appartenere alla generazione cresciuta con la strage di Capaci (io sono più giovane di lui, ma anche io sono cresciuto così...). Quindi del
23 maggio 1992 ricorderà tutto. Chissà se sa che esattamente due settimane prima, l'8 maggio, finiva l'epoca gloriosa de
L'Ora di Palermo. Si congedò con un grande "Arrivederci" in prima pagina; salutava perché il Partito (sì,
quel partito) aveva chiuso i cordoni della borsa. Niente più soldi ai compagni siciliani. Un po' come era successo a Roma con
Paese Sera.
L'Ora, anzi "
il l'Ora", come chiedevano i palermitani in edicola, nacque nel 1900 come
Corriere politico quotidiano della Sicilia, fondato dalla famiglia Florio. Sempre progressista, tranne la forzata parentesi del Ventennio fascista. Grandi direttori, soprattutto durante "l'altro ventennio", quello del mitico
Vittorio Nisticò. E poi firme pazzesche, compresi i due premi Nobel siciliani, Pirandello e Quasimodo; Guttuso, Marinetti il futurista, Verga, Rosso di San Secondo, Capuana, Matilde Serao, Consolo, Danilo Dolci e tanti altri, in una specie di antologia di letteratura. Letizia Battaglia faceva le foto. C'erano veri giornalisti, quelli della "palestra" dell'Ora, una scuola concreta e di prim'ordine (molti di loro sono diventati ormai
mainstream, com'è successo al
manifesto: qualcuno era comunista, avrebbe detto Gaber...). Un giornale che vanta il triste primato di tre
giornalisti uccisi dalla mafia (sugli otto in totale fatti fuori da Cosa Nostra): Cosimo Cristina,
Mauro De Mauro e
Giovanni Spampinato, ammazzati perché cercavano la verità. Nel 1958 la mafia buttò anche una bomba in tipografia.
Perché chiuse
L'Ora? Per soldi, come rischiano di dover chiudere i due organi del Pd. Ma non solo per quello. La fine del glorioso quotidiano palermitano è stata soprattutto la certificazione di un fallimento, anche politico. La colpa del Pci fu quella di non seguire l'ideale dei Florio: contribuire al riscatto sociale ed economico della Sicilia. L'errore, politico e culturale, è stato di credere che solo il Nord potesse salvare il Sud, il Sud caotico e corrotto. Stiamo aspettando. Nel frattempo la sinistra chiuderà altri giornali.