giovedì 15 dicembre 2011

Cronaca nerissima

Iraq, Afghanistan, Pakistan, una manciata di nazioni africane e qualcun'altra dell'Asia centrale. Poi casi sparsi qua e là, in mezzo a guerre e rivolte varie. Per morire da giornalisti, pare che siano queste le credenziali, direi quasi le clausole necessarie e sufficienti. Così Ieri ho scoperto che esiste il Committee to Protect Journalists (Cpj), un'organizzazione internazionale che si propone di vigilare sui rischi che corrono i giornalisti veri in giro per il mondo. Dal 1992 il Cpj monitora i casi di cronisti e operatori dell'informazione uccisi. Ci tengono a precisare che nella loro metodologia «un aspetto importante della ricerca è determinare se il giornalista è morto nell'esercizio della sua professione». Traduco liberamente l'originale "work-related death". Morte connessa al lavoro.
Ora, nel rapporto del Cpj ci sono pure alcuni giornalisti italiani. Ci sono giustamente Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Maria Grazia Cutuli, Enzo Baldoni. Ce ne sono anche di meno noti, freelance ma non solo. Tutti morti in terre devastate da guerre e terrorismo: Iraq, Afghanistan, Somalia, Balcani. Cronisti uccisi proprio mentre svolgevano il loro lavoro, morti proprio perché giornalisti.
Ma qualcosa non mi quadra. Non è che per essere conteggiati si debba per forza morire all'estero, vittime di terroristi sanguinari o guerriglieri senza scrupoli? Io non so se il Comitato, attivo dal 1981, abbia mai monitorato i casi di giornalisti morti anche prima del '92. Perché altrimenti l'Italia avrebbe un discreto campionario di cronisti morti da offrire alle statistiche del Cpj. Ma in realtà c'è almeno un caso, successivo all'anno da cui inizia l'analisi, che avrebbero dovuto segnare nelle loro tabelle precise e dettagliate. Se sono stati conteggiati giornalisti uccisi da criminali e terroristi in Francia o Spagna, mi piacerebbe capire perché chi è stato ammazzato dalla mafia non "merita" di far parte di questa lista.

L'8 gennaio 1993 – sfido qualsiasi comitato internazionale a smentirmi... – è successivo al 1992, eppure il giornalista morto quel giorno manca dall'elenco degli 889 uccisi. Era Beppe Alfano. Mio conterraneo, assassinato a Barcellona Pozzo di Gotto. Ucciso perché dava fastidio alla mafia con le sue inchieste. Una morte "work-related", direi. Ma siccome Beppe non c'è, evidentemente per il Cpj i criteri di selezione – diciamo così – sono altri. Non mi sembra però che Alfano e gli altri giornalisti italiani uccisi dalle mafie italiane prima di lui siano morti in incidenti stradali o disastri aerei (il comitato esclude esplicitamente queste eventualità).
E allora mi piacerebbe capire se la mancanza di un cronista ammazzato dalla mafia è solo casuale, una dimenticanza o qualcos'altro. Io ho sempre l'impressione che all'estero la mafia sia ancora trattata come un fenomeno criminale "minore" rispetto al terrorismo o agli atti di violenza politica. Ripeto, ci vorrebbero i dati precedenti al 1992 per capire se anche il Cpj cade nell'errore di sottovalutare la/e mafia/e e restringerne gli effetti come se si trattasse solo di una questione locale italiana.
Io, giusto per correttezza e per il rispetto che meritano tutti i giornalisti italiani (e non solo) morti per il loro lavoro, vorrei ricordare chi sono quelli ammazzati dalla criminalità organizzata:
- Cosimo Cristina (5 maggio 1960)
- Mauro De Mauro (16 settembre 1970)
- Giovanni Spampinato (27 ottobre 1972)
- Peppino Impastato (9 maggio 1978)
- Mario Francese (26 gennaio 1979)
- Pippo Fava (5 gennaio 1984)
- Giancarlo Siani (25 settembre 1985)
- Mauro Rostagno (26 settembre 1988)
- Beppe Alfano (8 gennaio 1993)
Oltre a loro, c'è il caso ancora irrisolto di Mino Pecorelli (1979), per il quale è stato assolto (almeno in questo caso...) Giulio Andreotti come presunto mandante. E Carlo Casalegno (1977) e Walter Tobagi (1980) sono morti per mano di terroristi rossi. Molti decenni prima era stato il fascismo a uccidere i giornalisti-oppositori Gobetti, Amendola, Merli e Malatesta. L'elenco continua con i giornalisti e operatori dell'informazione di cui il Cpj invece ha tenuto conto: Guido Puletti (Bosnia, 1993), Marco Luchetta, Alessandro Ota e Dario D'Angelo (Bosnia, 1994), Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (Somalia, 1994), Marcello Palmisano (Somalia, 1995), Antonio Russo (Georgia, 2000), Maria Grazia Cutuli (Afghanistan, 2001), Raffaele Ciriello (Palestina, 2002), Enzo Baldoni (Iraq, 2004), Fabio Polenghi (Thailandia, 2010). Nel 1987 era stato ucciso in Mozambico Almerigo Grilz. Volendo, avrebbero potuto aggiungere anche Vittorio Arrigoni (Palestina, 2011), che da blogger e freelance esortava a restare umani.

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