sabato 12 marzo 2011

Raschiare il fondo del barile

Il sito de la Repubblica ha lanciato da due mesi un'iniziativa interessante. I lettori possono scegliere un argomento, tra cinque proposti, su cui i giornalisti della testata poi faranno un reportage. Tutte inchieste su temi ambientali. Uno degli argomenti mi interessa più di altri, da anni e non solo per i suoi recenti sviluppi: le trivellazioni petrolifere in Sicilia. Non sono della schiera del 'no' a tutti i costi, ma su questo tema ho alcuni motivi che mi spingono a essere contrario. Andiamo con ordine, partendo dall'oggi (o dal domani) per tornare indietro di qualche anno.
L'ultima questione in ordine di tempo è l'esplorazione (tecnicamente prospezione) dell'inglese Northern Petroleum dei fondali al largo di Pantelleria, ripresa sei mesi dopo il blocco decretato dalla provincia di Trapani. Le autorizzazioni alla trivellazione in Sicilia sono un centinaio, tra richieste e già concesse, limitandoci a quelle off-shore, cioè in mare. Al largo di coste vicine a centri turistici, aree marine protette e in alcuni casi zone sismiche.
Il caso di Pantelleria è stato preceduto negli ultimi anni da casi analoghi che però interessavano anche la terraferma. La Sicilia non ha mai avuto una vera strategia industriale e la presenza di risorse energetiche sul territorio non è cosa da poco. D'altra parte, le polemiche ambientaliste sono ultimamente rivolte anche all'installazione di impianti eolici e fotovoltaici. Il caso di trivellazione più controverso che ricordo e mi ha coinvolto è quello del Val di Noto. Casa mia, praticamente.
Dal 2000 la multinazionale texana Panther Oil ha avviato contatti con le amministrazioni siciliane per ottenere l'autorizzazione a piantare pozzi nelle campagne non lontane dai siti che l'Unesco ha dichiarato Patrimonio dell'Umanità nel 2002. La Regione ha concesso i permessi nel 2004, ma l'anno dopo scoppia la polemica e il governo blocca le concessioni. Tra il 2005 e il 2007 il Tar accoglie però due ricorsi della Panther, che intanto ad agosto 2007, dopo una polemica ambientalista e politica (a giugno Andrea Camilleri aveva lanciato un appello ancora su Repubblica: 30mila firme raccolte contro le trivelle) dichiara di rinunciare a cercare il petrolio. Nel 2008 invece il Tar cambia idea e blocca i petrolieri texani; due anni dopo è il Consiglio di Giustizia Amministrativa (Cga) a riconsentire la ripresa delle perforazioni.
Quando scoppiò la polemica del 2007, io non ero neanche a Modica, uno dei gioielli barocchi nei siti Unesco, però seguii la vicenda e mi feci una mia idea. La concessione era stata rilasciata dalla giunta Cuffaro (Udc), ma contrastata dall'allora assessore An ai Beni culturali e poi al Turismo, Fabio Granata. Sì, il pasionario futurista. Partita la protesta, poi si sono accodati un po' tutti, per convenienza politica. L'allora sindaco di Modica, Piero Torchi (Udc), si appropria della battaglia, come succederà pure nel caso delle proteste contro la privatizzazione dell'acqua. Eppure da sindaco, la gestione del ciclo dei rifiuti, il piano regolatore, le concessioni edilizie, beh, non sembrava averle seguite proprio con piglio ambientalista. Ma oltre a lui anche il presidente della provincia di Ragusa, Franco Antoci, altro Udc, si schiera dalla parte della protesta. E l'oggi ex deputato Peppe Drago (indovinato: Udc!) si era reso disponibile a portare la questione a Roma. Insomma, un balletto di responsabilità, di distinguo e di strumentalizzazioni.
Ora, le trivelle della Panther non sarebbero state installate sul sagrato delle chiese barocche del Val di Noto; a Ragusa ancora fino a qualche mese fa c'erano pozzi petroliferi sicuramente più invasivi e tecnologicamente arretrati di quelli texani. Però l'impatto ambientale sarebbe stato ugualmente forte. L'accordo prevedeva la suddivisione delle royalties dell'estrazione tra Regione (un terzo) e Comuni interessati (due terzi), più un contributo della multinazionale per la realizzazione di opere ambientali e infrastrutturali.
Non è sbagliato pensare a uno sviluppo industriale della Sicilia, né si può pensare che bastino agricoltura e turismo, però preferirei non vedere il meraviglioso paesaggio siciliano (ibleo in particolare) sventrato senza ritegno e criterio in nome del dio denaro e della corsa all'oro - nero.
Non so se i lettori di Repubblica.it sceglieranno il tema del petrolio siciliano. Non avrò mai le competenze dei colleghi (sic) Antonio Cianciullo e Valerio Gualerzi che si occupano delle inchieste, ma la mia almeno l'ho detta. E vabbè, non mi faccio mancare neanche la chiusa populista: meno trivelle, più scavi archeologici.

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