L'omonimia, d'istinto, mi fa scorrere un brivido. Si chiamava Alfano come il ministro, Beppe, l'ultimo giornalista della lunga e triste lista di quelli ammazzati dalle mafie in Italia. Gennaio 1993, a metà tra le stragi di Capaci e via D'Amelio e l'ultima coda di sangue di Firenze e Milano. La mafia ha sempre ucciso, ha continuato a farlo, indipendentemente che le vittime fossero giudici, giornalisti o cittadini innocenti dilaniati dalla violenza terroristica. Mi fa rabbrividire anche che Beppe Alfano non venga incluso negli elenchi internazionali dei giornalisti uccisi per il loro lavoro.
Giuseppe Aldo Felice Alfano era di Barcellona Pozzo di Gotto, ma ha insegnato anche a Terme Vigliatore, il paese di mia madre nel messinese. Un uomo di destra, giornalista scomodo, di quelli che disturbano con le domande, le inchieste, l'impegno per la verità e per smascherare torti e malaffare. Era il corrispondente de La Sicilia, giornale che neanche si costituì parte civile al processo. Hanno vissuto a Vigliatore, gli Alfano, erano vicini di casa dei miei parenti. Mia madre ricorda ancora quando giocava con la piccola Sonia, la figlia di Beppe ora parlamentare europea ex Idv (eletta nel 2009: faccio notare che prese più voti nelle circoscrizioni Nord Ovest, Centro e Sud che non in quella, siciliana, delle Isole...) e presidente della Commissione speciale antimafia del Parlamento di Strasburgo. Singolare che Sonia Alfano sia dello stesso paese e sia stata nello stesso partito di Mimmo Scilipoti: non ho dubbi che per lei sia un sollievo non essere più dipietrista.
Beppe Alfano va ricordato per tutti i motivi che ci impone il dovere della memoria delle vittime della mafia. Condivide con altri suoi colleghi, come Giovanni Spampinato a Ragusa e Pippo Fava a Catania, un destino particolare: morire per mano di mafia in zone dove la retorica ufficiale e istituzionale ne ha sempre negato l'esistenza. Ragusa e Messina sono sempre finite relegate alla voce "provincia babba", stupida, dove stupidità è ovviamente la mancanza (solo presunta, ormai è risaputo) di quelle forme estreme e illecite di potere. Alfano è morto dopo aver scoperto che il latitante Nitto Santapaola, boss della mafia catanese, soggiornava tranquillo lì, in quell'area del messinese, e ben coperto dalla oscena miopia, scientificamente voluta e non casuale, di chi doveva vigilare, a partire dalla magistratura locale.
E quindi l'8 gennaio 1993 moriva Beppe Alfano, consapevole, come ha raccontato la figlia Sonia, che la mafia non l'avrebbe fatto arrivare vivo al 20 gennaio. Così l'avevano avvertito. Lui è andato avanti.
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