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domenica 13 novembre 2011

Dalla parte (civile) delle vittime

I morti non sono tutti uguali.
Ne sono convinto.
Per molto tempo mi sono chiesto perché in Italia siano poche le vie o piazze dedicate alle vittime di mafia. Intendo dire intitolate in generale proprio alla categoria, chiamiamola così, delle "vittime della mafia", come i caduti in guerra o sul lavoro. Ovvio che mi va benissimo la strada o la piazza dedicata al giudice, al sindacalista, al giornalista, alla singola vittima di Cosa Nostra – o della 'ndrangheta, o della camorra, o...
Anzi, spero che siano sempre di più gli angoli delle città e dei paesi italiani dedicati a chi è stato ucciso dalle mafie. Dico solo che non mi dispiacerebbe un ricordo generale e complessivo per tutte le vittime della criminalità organizzata, perché oltre ai già tanti nomi noti c'è tutto un esercito di martiri sconosciuti. Giusto per non ammazzarli di nuovo con il silenzio.
Pianosa (foto di Antonella Di Girolamo)
Qualcosa si muove. A Pianosa, l'isola dell'Arcipelago Toscano che ospitava il carcere di massima sicurezza, strade, piazze e giardini sono stati intitolati alle vittime di mafia. A Palma di Montechiaro, nell'agrigentino, diversi uffici del Comune hanno sede in via Vittime della mafia.
In Calabria c'avevano provato l'anno scorso. A Serra San Bruno (Vibo Valentia) però "via Vittime della mafia" è durata pochissimo, perché per i residenti «il nome scelto è inopportuno e inappropriato». Testuale e sottolineato in neretto. Più opportuno e appropriato invece "traversa I via Catanzaro". Ecco una prima risposta a quella domanda iniziale, forse...
Oppure qualcuno potrebbe pensare che il boss e il capobastone ammazzati dal clan rivale o dalla famiglia e cosca nemica siano da considerare pure loro vittime della mafia. No, questa è una cosa che non posso concepire neanche con un complesso esercizio di astrazione. D'altra parte, sono un laico terreno e non spetta a me parlare di assoluzioni, pentimenti e perdono. Ci sono casi in cui la morte non può essere considerata 'a livella, con buona pace dell'amato Totò.
La settimana scorsa i fratelli Benedetto e Giuseppe Graviano, capimafia della famiglia palermitana di Brancaccio, hanno chiesto di costituirsi parte civile in un processo per mafia. Processo contro il capo dei capi Totò Riina e il pentito Gaetano Grado, imputati per 11 omicidi commessi nella seconda guerra di mafia tra gli anni Settanta e l'inizio del decennio successivo. I Graviano c'entrano perché il 7 gennaio 1982 è stato ucciso il padre Michele, schierato con i corleonesi e ucciso dai perdenti di quella guerra.
Non contento, Giuseppe Graviano ha chiesto pure di potersi costituire parte civile per il figlio minorenne ma su questa istanza il giudice si è riservato di decidere. Il processo è stato rinviato al 16 gennaio 2012.
Tocca ai giudici palermitani decidere. Io rimango interdetto. Come fanno notare giustamente i familiari delle vittime di mafia (quelle vere), i Graviano andranno anche in causa civile e chiederanno un risarcimento? Oppure saranno ammessi al fondo di rotazione 512 "per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso"?
Per la cronaca, gli aspiranti parenti di "vittime di mafia" Graviano sono gli assassini, tra gli altri, di don Pino Puglisi, delle stragi di Firenze e Milano, del piccolo Giuseppe Di Matteo.

domenica 18 settembre 2011

Il senatore nel pallone

Fabrizio Miccoli e Mauro Lauricella
È bastata una foto e si è scatenato l'inferno. Fabrizio Miccoli e i suoi rapporti con la mafia. Il capitano del Palermo, quello che piange quando segna contro il "suo" Lecce, quello con il tatuaggio del Che, quello che dedicò agli operai della tormentata Fiat di Termini Imerese una memorabile vittoria contro la Juventus, quello emarginato da Luciano Moggi. Insomma, uno dei pochi personaggi apparentemente positivi nel calcio italiano. Non bisogna essere garantisti a oltranza per pensare che una foto con il figlio di un boss non sia automaticamente una patente di mafiosità. Però il "Romario del Salento" deve chiarire la sua posizione.
Che Miccoli sia stato immortalato sulle tribune dello stadio di Palermo con l’incensurato Mauro Lauricella, figlio di Antonino "Scintilluni", il re del pizzo appena arrestato, è il segno però che c'è qualcosa di storto nel calcio – e non solo quello siciliano. Di rapporti tra calcio e mafia, tra calciatori e mafiosi, sono state riempite pagine e pagine di cronaca italiana. C'è del marcio ed è impossibile negarlo. La criminalità organizzata usa anche il calcio, soprattutto a livello locale, come strumento per il controllo del territorio e per garantirsi un certo "consenso". Salendo di categorie, si finisce nella serie A dei calciatori che hanno avuto rapporti più o meno diretti con esponenti mafiosi. In questi giorni si è scatenata una corsa a ripescare foto d'archivio e storie impolverate di calciatori fotografati con boss, di giocatori con parentele imbarazzanti, di sportivi con soci d'affari e frequentazioni degni delle attenzioni delle procure antimafia. Maradona, Cannavaro, Balotelli, Sculli e così via.