Visualizzazione post con etichetta ballottaggi Sicilia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ballottaggi Sicilia. Mostra tutti i post

venerdì 21 giugno 2013

Meno male che Silvio c'era

[In questi giorni sto pensando molto a Milazzo. No, non la città. Mi piace, da lì si prendono le navi per le Eolie, bello il borgo vecchio, il castello, il promontorio: per carità, nulla da ridire – raffinerie a parte, naturalmente. Ma non è "la" Milazzo, è "il" Milazzo. Un cognome, non un nome di città. Milazzo, Silvio Milazzo]
Una croce sopra Milazzo
Silvio Milazzo fu un politico di una certa rilevanza per la Sicilia e non solo. Se ancora oggi si dice con parecchia approssimazione che la Sicilia è un "laboratorio politico", beh, qualche responsabilità ce l'ha proprio lui, l'esponente Dc di Caltagirone che nel 1958 lanciò una sfida al suo stesso partito con un'operazione che, semplicemente, è passata alla storia come milazzismo. Come molti "-ismi", anche questo termine porta con sé accezioni negative e controverse. Il 30 ottobre 1958 Milazzo fu eletto presidente della Regione con i voti all'Ars dei partiti di destra e di sinistra, contro il candidato ufficiale indicato dai vertici della Dc, allora guidata da Amintore Fanfani.
Nel suo primo governo fece la mossa sorprendente: mise insieme esponenti del Pci e del Msi, comunisti e post-fascisti alleati "in nome dei superiori interessi dei siciliani", come dissero il segretario regionale comunista Emanuele Macaluso e il capogruppo missino all'Ars Dino Grammatico. Milazzo fu espulso dalla Dc e formò un nuovo partito, l'Unione Siciliana Cristiano Sociale (USCS), che ottenne 10 deputati all'Ars nelle elezioni regionali del 1959. L'esperienza del milazzismo finì presto: dopo le elezioni, il 12 agosto 1959 il presidente Milazzo formò un secondo governo, dove però non entrò più il Msi. C'erano le sinistre, i monarchici, i vertici di Sicindustria, allora guidata da Domenico La Cavera. Per non farsi mancare nulla, i "tecnici di laboratorio" misero tra gli ingredienti pure esponenti vicini alla mafia. Scandali, tentativi di corruzione, compravendita di parlamentari (sì, stiamo parlando del 1959...): ecco come e perché finì male l'avventura donchisciottesca di Silvio Milazzo.
La premessa è stata lunga, adesso bisogna spiegare perché penso a lui e alla sua operazione. Innanzitutto mi preme sottolineare che qualche anno fa don Mimì La Cavera ebbe a dire che il vero erede di Milazzo si chiama Raffaele Lombardo: il suo autonomismo, in fondo, altro non sarebbe (sarebbe...) che la prosecuzione di quella politica "in nome dei superiori interessi dei siciliani". Poi, e qui veniamo al punto, da qualche giorno in Sicilia è venuta fuori un'operazione che ha un vago sapore di milazzismo. La notizia è che al ballottaggio a Ragusa è arrivato il candidato del Movimento 5 Stelle Federico Piccitto, una boccata d'ossigeno in questo momento un po' complicato per la creatura politica di Beppe Grillo. E per provare a vincere, Piccitto rompe il tabù e per la prima volta il M5S si allea con altre liste. Primo e unico caso italiano. Apparentamento con alcune liste civiche, ma poi a Piccitto è arrivato pure il sostegno – non richiesto ma non rifiutato, a quanto pare – di Sel e La Destra. Cioè dei "comunisti" e dei "post-fascisti" (semplifico, lo so, ma le virgolette le hanno inventate apposta, ndr).
Due considerazioni. Beppe Grillo ha gridato all'inciucio perché l'altro candidato, Giovanni Cosentini, ex cuffariano già vicesindaco con il centrodestra, corre per Udc e Pd e si è apparentato con il Pdl. Tecnicamente, le larghe intese riproposte anche all'estremo sud della Sicilia. Grillo certifica un dato di fatto, innegabile. Come è un dato di fatto che qualcuno tra i 5 Stelle inizi a guardare oltre. Forse troppo?
Quello che a Ragusa si fa al ballottaggio, invece a Messina non si è voluto fare al primo turno, in ossequio alle rigide e non emendabili regole del MoVimento. Renato Accorinti, il pacifista e storico leader No Ponte arrivato a sorpresa al ballottaggio, aveva chiesto al M5S di correre insieme, tanto il programma e le istanze erano molto simili. La risposta fu negativa, perché Accorinti aveva nella sua lista esponenti verdi, ex Idv, rifondaroli, persino autonomisti. Lui ha preso il 23%, la candidata grillina il 2,87.

[P.S. Per la cronaca, il sindaco della città di Milazzo, Carmelo Pino, già uomo di Forza Italia, nel 2010 è stato eletto al ballottaggio con l'apparentamento tra le sue liste civiche riconducibili al cosiddetto Pdl Sicilia di allora (l'ala vicina ai finiani e a Micciché), il Pd e gli autonomisti di Raffaele Lombardo. Milazzo, milazzismo.]

Aggiornamento del 24 giugno 2013. Sorpresa – ma fino a un certo punto. A Ragusa ha vinto Piccitto del M5S e a Messina il no global Accorinti. Il laboratorio-Sicilia colpisce ancora? Forse. O più semplicemente perde il Pd che si allea con il centrodestra e con gli eredi della stagione cuffariana, in un malriuscito esperimento di milazzismo del Terzo millennio. Vincono i candidati che rompono con quegli schemi, evidentemente. Piccitto vince perché si è alleato con altri esponenti della "società civile" contro l'abdicazione del Pd, non per la discesa salvifica di Grillo a Ragusa. E Accorinti vince contro tutti, forse persino contro se stesso, dato che non avrà la maggioranza in consiglio comunale. Il messaggio, se ce n'è uno, farebbero bene a leggerlo dalle parti del Pd. Alla voce "larghe intese" e dintorni.

lunedì 13 giugno 2011

La Sicilia al ballottaggio

Dopo il primo turno delle elezioni amministrative, che nei comuni con più di 10mila abitanti ha visto confermarsi subito il solo Nello Dipasquale a sindaco di Ragusa (e l'imbarazzante plebiscito per Firetto a Porto Empedocle), anche in Sicilia è stato tempo di ballottaggi. In coincidenza con i referenda nazionali. Sono dunque 11 i comuni - 265mila elettori - che hanno dovuto attendere il secondo turno di domenica 12 e lunedì 13 giugno per sapere chi saranno i nuovi sindaci e consiglieri comunali.
L'affluenza definitiva è stata del 63,37% (168.072 elettori). Rispetto al primo turno, netto calo del 7,58%: due settimane fa aveva votato il 70,95% degli aventi diritto. Sopra il 70% i due comuni messinesi al voto, Patti e Capo d'Orlando. Il dato più basso a Favara (AG), con il 57,06% e dieci punti in meno rispetto al primo turno. Tra il 61 e il 65% l'affluenza negli altri comuni. Interessante notare che mediamente negli 11 comuni la gente ha votato più per il referendum che non per il ballottaggio delle amministrative.