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lunedì 20 luglio 2015

La recita del Rosario

Io un abbraccio come quello di Sergio Mattarella e Manfredi Borsellino non ricordo di averlo visto altre volte. Persino il presidente della Repubblica, così schivo e riservato, è andato fuori dal protocollo e ha espresso con naturalezza ed emozione l'affetto per il figlio di Paolo. E questo naturalmente fa più sensazione perché è successo nei giorni dello scandalo e della rabbia per la presunta intercettazione tra il (quasi ex?) presidente della Regione Crocetta e il suo medico-amico Tutino, con le ormai note parole oscene nei confronti di Lucia Borsellino. Forse sarà il solito teatrino alla siciliana, forse no. Certo è che quell'abbraccio sincero e commosso, davanti a sguardi spiazzati, dice più di tante altre parole. Considerando peraltro che le parole di Manfredi erano state dure.
Io mi sono dato un ordine, un obbligo, un compito: ricordare ogni anno, nel mio contesto pubblico molto piccolo, quelle due terribili date del 1992, il 23 maggio di Capaci e il 19 luglio di via D'Amelio. A volte preferirei non farlo, perché non mi pare di avere nulla di così importante da dire. Quello che conta almeno è saperlo, conservare come monito il ricordo dell'estate più calda della storia siciliana. A volte però sarebbe meglio il silenzio, vero, non interrotto da ipocriti applausi di alleggerimento della coscienza. Il silenzio che qualcuno dovrebbe infine consigliare sul serio a Crocetta: a tacere davanti agli insulti di Tutino a Lucia e poi rompere il silenzio alle parole incontestabili di Manfredi, non mi sembra si faccia una gran figura. Senza bisogno di tirare sempre in ballo l'anti-antimafia e l'omofobia.
Ecco, su una cosa taccio invece io, e l'ho fatto anche al lavoro, forse per lapsus, o per scelta, o per ragioni di spazio. Nell'articolo che ho scritto sul Quotidiano Nazionale, ho omesso questa frase di Crocetta: «Tutto accetterò tranne che morire come un pezzo di merda in un letto». Non la capisco, davvero. Il silenzio non è solo omertà. A volte è una splendida opportunità.

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venerdì 3 luglio 2015

Il Borsellino vuoto

Non ricordo quanti anni fa, non sono sicuro che fosse a Ballarò, comunque in una trasmissione del genere, ci fu un interessante e quasi surreale scambio di battute tra Rita Borsellino e l'allora senatore Pdl Carlo Vizzini (nella Prima Repubblica era nel Psdi). Rita era nel suo periodo politico e si sentiva sempre ripetere, più o meno esplicitamente, che stava sfruttando il (cog)nome del fratello Paolo. Vizzini quella volta disse a Rita che contestava le sue scelte politiche (si sa, Paolo era stato di destra) e subito correggeva il tiro, a scanso di equivoci, dicendo di aver "collaborato con suo fratello". Insomma, non è che criticando Rita Borsellino stava infangando la memoria del giudice ucciso, chiaro. Rita sommessamente fece notare che Paolo era suo fratello e la tragedia lei l'aveva vissuta in primissima persona. Ecco, qualche tempo dopo Vizzini, da redivivo socialista "di sinistra", sarebbe diventato uno dei più attivi e strenui sostenitori di Rita Borsellino in politica.
Lunga premessa per finire a parlare della nipote di Rita, Lucia Borsellino. Non c'è niente da fare: noi siciliani non ce le meritiamo certe persone. Abbiamo (parlo in prima persona perché in fondo la responsabilità è davvero collettiva, di tutti noi siculi, anche di chi non ha colpe dirette, ndr) preferito Totò Cuffaro a Rita Borsellino, a Palermo ci confortavano i giochi di potere trasversali più del programma di rottura di Rita, così come ci siamo fatte piacere le giravolte e le ipocrisie del Pd. E così abbiamo abbandonato anche Lucia Borsellino a combattere da sola la sua battaglia civile e professionale, per non disturbare i manovratori della politica ai quali dobbiamo sempre qualcosa. Lucia che da dirigente della sanità regionale aveva dimostrato grande competenza e capacità anche durante le giunte Lombardo, Lucia che da assessore con Crocetta era l'unica davvero titolata a rappresentare la rivoluzione siciliana tanto strombazzata. Strombazzata, ma non da lei, che con discrezione ha continuato a lavorare nonostante "l'ambiente circostante". Dopo un primo tentativo di uscire da quel teatrino, con dimissioni respinte a febbraio dopo lo scandalo della piccola Nicole morta in ambulanza, ora ha lasciato definitivamente. Singolare, però: c'è voluto un caso più che politico che tecnico per accelerare la rottura. L'episodio è simbolico, naturalmente. Il chirurgo e medico personale di Crocetta, Matteo Tutino, primario al Villa Sofia di Palermo, arrestato per truffa, falso, peculato e abuso d'ufficio («Quest'amicizia, sempre ostentata da Tutino, ha molto condizionato la vita di una grande azienda ospedaliera di Palermo», ha spiegato l'ormai ex assessore). La classica goccia che fa traboccare il vaso. E che certifica il fallimento della presunta rivoluzione crocettiana.
Ripeto, non ci meritiamo persone come Lucia, gente perbene e capace che dice cose così:
Oggi torno a essere la figlia di Paolo. E, in nome dei suoi semplici insegnamenti, chiedo a tutti di non invitarmi, il 19 luglio, alla commemorazione di via D'Amelio. Non capisco l'antimafia come categoria, come sovrastruttura sociale. Sembra quasi un modo per cristallizzare la funzione di alcune persone, magari per costruire carriere. La legalità, per me, non è facciata, è una precondizione di qualsiasi attività.