Lunga premessa per finire a parlare della nipote di Rita, Lucia Borsellino. Non c'è niente da fare: noi siciliani non ce le meritiamo certe persone. Abbiamo (parlo in prima persona perché in fondo la responsabilità è davvero collettiva, di tutti noi siculi, anche di chi non ha colpe dirette, ndr) preferito Totò Cuffaro a Rita Borsellino, a Palermo ci confortavano i giochi di potere trasversali più del programma di rottura di Rita, così come ci siamo fatte piacere le giravolte e le ipocrisie del Pd. E così abbiamo abbandonato anche Lucia Borsellino a combattere da sola la sua battaglia civile e professionale, per non disturbare i manovratori della politica ai quali dobbiamo sempre qualcosa. Lucia che da dirigente della sanità regionale aveva dimostrato grande competenza e capacità anche durante le giunte Lombardo, Lucia che da assessore con Crocetta era l'unica davvero titolata a rappresentare la rivoluzione siciliana tanto strombazzata. Strombazzata, ma non da lei, che con discrezione ha continuato a lavorare nonostante "l'ambiente circostante". Dopo un primo tentativo di uscire da quel teatrino, con dimissioni respinte a febbraio dopo lo scandalo della piccola Nicole morta in ambulanza, ora ha lasciato definitivamente. Singolare, però: c'è voluto un caso più che politico che tecnico per accelerare la rottura. L'episodio è simbolico, naturalmente. Il chirurgo e medico personale di Crocetta, Matteo Tutino, primario al Villa Sofia di Palermo, arrestato per truffa, falso, peculato e abuso d'ufficio («Quest'amicizia, sempre ostentata da Tutino, ha molto condizionato la vita di una grande azienda ospedaliera di Palermo», ha spiegato l'ormai ex assessore). La classica goccia che fa traboccare il vaso. E che certifica il fallimento della presunta rivoluzione crocettiana.
Ripeto, non ci meritiamo persone come Lucia, gente perbene e capace che dice cose così:
Oggi torno a essere la figlia di Paolo. E, in nome dei suoi semplici insegnamenti, chiedo a tutti di non invitarmi, il 19 luglio, alla commemorazione di via D'Amelio. Non capisco l'antimafia come categoria, come sovrastruttura sociale. Sembra quasi un modo per cristallizzare la funzione di alcune persone, magari per costruire carriere. La legalità, per me, non è facciata, è una precondizione di qualsiasi attività.
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