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giovedì 9 ottobre 2014

Scacco a La Torre

Non appena venerdì scorso sono atterrato a Comiso (in arrivo da Linate), ho avuto una strana sensazione. Un bellissimo "giocattolo", pulito, ordinato, ancora immune dal caos e dalla sporcizia tipici di certi luoghi pubblici in Sicilia. Sembra un aeroporto della Lego!
Ma va davvero benissimo così, per carità. Il mio primo volo sullo scalo geograficamente più vicino a casa mia è stata un'esperienza positiva. Spero solo che si mantenga così e che funzioni sul serio, anche quando dovessero aumentare i carichi di traffico e passeggeri. Soprattutto dopo che il governo ha deciso di non chiuderlo e inserirlo nella lista degli scali "di interesse nazionale", nell'orbita di quello strategico di Catania.
Ma che non sia l'ennesimo carrozzone: a vederlo così, con i parcheggi pieni di auto (compreso quello dietro il piazzale Cittadinanza Umanitaria: sic), ho pensato che siano più i dipendenti che non gli utenti... D'altra parte, finora, ogni giorno solo una decina di aerei (su rotte italiane ed estere) tocca la lunga pista nella campagna iblea. Sempre più, comunque, degli sparuti collegamenti per Catania e Palermo che costituivano le uniche rotte della precedente vita "civile" dello scalo.
La prossima settimana non ritornerò "al nord" ancora partendo dall'aeroporto Pio La Torre, che i codici IATA identificano con la sigla "CIY". Gli orari purtroppo non sono compatibili. L'ho scoperto in questi giorni, mentre cercavo un volo per il ritorno. Pazienza.
Però non ho potuto fare a meno di sorridere (con tanto di smorfia) quando ho visto la pagina che il sito di Alitalia ha dedicato proprio alla tratta Comiso-Milano. Innanzitutto, l'ex compagnia di bandiera chiama ancora l'aeroporto "Generale Vincenzo Magliocco". Già questo basterebbe a farmi innervosire. Ma il capolavoro vero è la grafica con cui Alitalia ha voluto celebrare il nuovo collegamento.
- clicca per ingrandire- 
Una fiera dei luoghi comuni che avrebbe figurato benissimo in quella che anni fa avrebbe potuto essere la mia tesi di laurea in antropologia culturale sugli stereotipi nell'industria turistica. Non la scrissi mai, preferii concentrarmi su altri stereotipi. Vabbè, lasciamo perdere le mie strane idee... Quello che resta però è un mirabile esempio di come non riusciremo mai a spogliarci di certi pregiudizi e convinzioni. Da una parte una chiesa barocca, le palme, il carretto e poi una sensualissima donna occhialuta e cappelluta, uno stereotipo perfetto della turista del nord che si presume pronta a farsi corteggiare dai masculi terroni. Dall'altra parte, il Duomo con la Madunina, via Montenapo e due malati di shopping, eleganti e chic come solo gli hipster e i metrosexual milanesi sanno essere.
Io forse esagero, ma il contrasto è stridente. Tra il sud luminoso, che vive del suo eterno giorno soleggiato e indolente, e il nord notturno, à la page, che gode i privilegi della sua esclusività.
Chissà, forse con i "cugini" arabi di Etihad andrà meglio...
Alitalia prova almeno a riscattarsi ricordando che con Comiso si può scoprire «una città che racconta secoli di storia, con un ricco patrimonio culturale, che ha dato i natali allo scrittore Gesualdo Bufalino, Premio Campiello con il romanzo Dicerie dell'untore e Premio Strega con la sua opera Le menzogne della notte». Voglio solo ricordare che il vecchio Bufalino, che il Nord lo amava, nell'ultima intervista prima di morire, liquidò certe pretese secessioniste come "Stupidania".

giovedì 14 aprile 2011

La guerra e/o la battaglia

A una settimana dal ritrovamento del corpo di Davide Romano, a Palermo - e non solo - ci si interroga su un possibile ritorno delle guerre di mafia che hanno insanguinato il capoluogo e tutta la Sicilia. La mafia uccide ma fa anche affari silenziosi, alza la voce ma manovra anche e soprattutto nell'ombra. Insomma, si muove in più modi, a seconda dell'opportunità. Se c'è da sparare, spara. Se c'è da riciclare denaro, accende la lavatrice. Se c'è da sbloccare gli appalti, muove voti. E allora perché un singolo omicidio dovrebbe rievocare una storia ormai superata e inquietare Palermo e i palermitani, clan compresi? Romano è stato ucciso secondo modalità quasi rituali, di quelle che sembrano marchi di fabbrica, antichi simboli, firme inconfondibili. Anche recentemente le pistole sono sempre state fumanti, piccole faide sono state risolte con le armi, ma mai come negli anni Ottanta con delitti alla vecchia maniera. Romano è scomparso per qualche giorno, si è parlato di "lupara bianca", ma in realtà il proiettile 7,65 alla nuca e l'incaprettamento racconterebbero altro. Far ritrovare un cadavere così è il classico messaggio: la tregua è finita, ricomincia la guerra.
Naturalmente tocca a polizia e magistratura dire se è davvero così. Davide Romano era il figlio di Giovan Battista, boss di Borgo Vecchio ucciso nel 1995 con altri riti (strangolato e disciolto nell'acido da Leoluca Bagarella e Vittorio Mangano, lo "stalliere-eroe di Arcore"), accusato dal "tribunale della mafia" di essere stato un confidente di Giovanni Falcone. Anche il giovane Davide aveva una discreta fedina penale, però non tale da giustificare probabilmente una guerra di mafia. Reati di droga e poco più.
Può anche darsi che ci sia una ripresa della conflittualità tra le famiglie palermitane per il controllo della leadership. Questa sarebbe la lettura più logica, almeno secondo il procuratore Ignazio De Francisci. I dubbi ce li hanno comunque gli stessi inquirenti. I regolamenti di conti di solito si risolvono con tre colpi di pistola per strada e via, ma Romano, appena uscito dal carcere, avrà magari dato fastidio a qualcuno e disturbato i nuovi assetti. Forse il suo omicidio è stato "solo" un segnale, sicuramente espressivo, ma non è detto che sia il preludio alla guerra di mafia del Ventunesimo secolo. Qualcuno sta provando a occupare gli spazi del comando lasciati liberi dopo le ultime operazioni di polizia. Se altri cadranno dopo Romano, forse la battaglia sempre in corso diventerà davvero una guerra. Il problema è che non sono mai stato convinto che qualcuno abbia dichiarato il cessate il fuoco. In guerra i capi e i governanti trovano magari accordi sottobanco, mentre la manovalanza e i poveri cristi continuano a scannarsi.
Gesualdo Bufalino ha dato una definizione calzante della mafia: è una «variante perversa della liturgia scenica», che «fra le sue mille maschere, possiede anche questa: di alleanza simbolica e fraternità rituale, nutrita di tenebra e nello stesso tempo inetta a sopravvivere senza le luci del palcoscenico». Battaglia o guerra che sia, la mafia si nutre delle due dimensioni che Bufalino riassume in un titolo: la luce e il lutto. Rumore e silenzio.