Parliamo di Sicilia. Dove c'è un'emergenza rifiuti che dura ufficialmente dal 30 giugno 1999, quando fu dichiarato per decreto del presidente del Consiglio dei Ministri lo stato di emergenza. Che doveva finire nel 2000. C'era ancora la lira, eravamo in un altro secolo e in un altro millennio. E il presidente del Consiglio era Massimo D'Alema. Però lo stato di emergenza è rimasto. Anche nelle leggi, ancora oggi.
A poche settimane dal quattordicesimo anniversario della dichiarazione di quello stato emergenziale, sta per essere convertito in legge il decreto 43/2013, del fu governo Monti, proprio sulle emergenze ambientali, ma non solo. Oltre ai terremoti dell'Abruzzo e dell'Emilia spuntano il porto di Piombino, la Tav Torino-Lione, l'Expo 2015, altre questioni datate (tipo i 3 milioni di euro di spesa concessi nel 2013 a Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni «per assicurare la continuazione del servizio pubblico di trasporto marittimo, legato all'aumento di traffico passeggeri del periodo estivo», cito testualmente dall'articolo 6 del decreto), e poi, appunto, l'emergenza rifiuti siciliana, più precisamente palermitana, e quella campana.
Nella vita bisogna saper dire di no... |
Negli stessi giorni in cui in commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera si certifica l'emergenza rifiuti siciliana tra le urgenze straordinarie, due rapporti economici hanno catturato la mia attenzione. Uno è il rapporto Urbes sulla qualità della vita e la soddisfazione della popolazione nelle province. In tanti sostengono che non può bastare il Pil per definire il benessere della gente e così arriva l'indice Bes (benessere equo sostenibile). Nel cui calcolo rientra anche la "soddisfazione per la propria vita". I siciliani? Secondo il rapporto sono i penultimi in Italia: solo il 28,9% è soddisfatto, peggio solo i campani (21,9%). Il secondo rapporto è la stima dell'Osservatorio Confesercenti sugli effetti della crisi economica sugli affari dei negozi al dettaglio. Nei primi quattro mesi del 2013, in Sicilia hanno chiuso definitivamente 1.557 esercizi commerciali – primato negativo tra le regioni italiane – e se le chiusure andranno avanti con gli stessi ritmi, al primo gennaio 2014 nell'Isola, una terra votata all'agricoltura, potrebbero abbassare le saracinesche 1.080 negozi di alimentari mentre ne aprirebbero soltanto 288 nuovi. E Palermo è la quarta provincia, dopo Roma, Torino e Napoli, per il saldo negativo aperture-chiusure.
Il problema vero è che di parametri così negativi, di dati sconfortanti, di ragioni per scoraggiare la soddisfazione, l'ottimismo e l'autostima del popolo siciliano, ce ne sono tanti, purtroppo. La munnizza per le strade si nota più degli altri perché è brutta e puzza.
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