Altro che Lega Nord. Quando c'è un partito come l'Mpa, anche in Sicilia è garantita la possibilità di dare sfogo alla creatività di chi ha scelto di fare dell'
autonomia la propria bandiera. A proposito di bandiera, sul vessillo giallorosso della Trinacria c'è chi l'autonomia la intende come diritto di smarcarsi e mettere persino
in discussione il maggiore simbolo dell'identità sicula. Ma naturalmente l'altro grande simbolo è
la lingua (o il dialetto). E qui torna la Lega. I Padani ci tengono alla lingua (quale?,
ndr) e a più riprese propongono l'insegnamento dell'idioma locale nelle scuole. Polemiche, distinguo, strumentalizzazioni: il polverone si alza sempre quando qualcuno tira fuori l'idea del dialetto a scuola.
Ma cos'è il dialetto? E cos'è una lingua? La definizione migliore, netta, chiara, è quella del più grande linguista contemporaneo, Noam Chomsky: "La lingua è un dialetto con un passaporto e un esercito". Dunque il dialetto, o comunque una lingua regionale, ha una sua grande dignità. Al nord come al sud, chiaramente. Ora la Regione Siciliana potrebbe avviarsi sulla strada dell'insegnamento del siciliano nelle scuole. Il siciliano, lingua e non dialetto. Che deriva direttamente dal latino e non dall'italiano.
Per l'Unesco sono almeno 5 milioni (emigrati esclusi) le persone che parlano in siciliano, considerato non in pericolo di estinzione ma comunque "vulnerabile" perché "molti bambini parlano la lingua, ma potrebbe essere limitata ad alcuni contesti ristretti". Secondo la Carta Europea delle Lingue Regionali o Minoritarie del 1992, il siciliano andrebbe considerato appunto una lingua. Art. 1: "Per lingue regionali o minoritarie si intendono le lingue che non sono dialetti della lingua ufficiale dello Stato". Per la cronaca, la Carta è entrata in vigore nel 1998, l'Italia l'ha firmata nel 2000 ma non l'ha ancora ratificata.
Il deputato regionale autonomista
Nicola D'Agostino ha presentato un ddl in commissione Cultura, Formazione e Lavoro sull'insegnamento della lingua, della storia e delle tradizioni siciliane. Approvato. Ora toccherà a Palazzo dei Normanni votare il provvedimento; in molti sono fiduciosi che dal prossimo anno scolastico nelle scuole dell'Isola si potrà insegnare il siciliano, e in siciliano. Tutti entusiasti. Il presidente Udc della commissione Cultura, Totò Lentini, è soddisfatto e ci vede pure un'opportunità occupazionale per i precari della scuola. Titti Bufardeci, presidente del gruppo
miccicheano di Forza del Sud, conta che così si possa arginare la perdita di un patrimonio storico e letterario per colpa della globalizzazione. Contenti naturalmente gli assessori all'Istruzione, Mario Centorrino, e ai Beni culturali e all'Identità siciliana (
sic), Sebastiano Missineo.
Giusto preservare e rilanciare lingua e tradizioni, non posso che essere d'accordo. Però vale la stessa obiezione fatta per le lingue
padane. Quale lingua? Quale lingua siciliana? Se è una lingua, ha tanti dialetti. E così è. Nel ddl D'Agostino non si legge mai la parola "dialetto", né l'onorevole catanese l'ha citata nella sua relazione. Dunque qual è la lingua siciliana da insegnare nelle scuole? Sarà diversificata a seconda delle zone, delle province, dei comuni? Escludendo i dialetti salentini e sud-calabresi, appartenenti al ceppo linguistico siciliano, già i soli
gruppi dialettali grandi e/o medi nell'Isola sono sette. Da suddividere e moltiplicare di città in città, di paese in paese. E aggiungiamo le parlate gallo-italiche, con influenze lombarde, francesi e provenzali. Poi le minoranze greche e albanesi. Anche le scuole di queste zone avranno il diritto di insegnare nei rispettivi idiomi, no? Troppo diversi i dialetti tra di loro, anche a distanza di pochi chilometri.
Spero che qualcuno sappia chiarirmi questo dubbio. Accetto spiegazioni anche in siciliano.
Questa è una cosa molto bella, io sono per la salvaguardia dei dialetti, contro la volgare l'assimilazione all'italiano (quelle parole con radici italiane e "forma" [ma a volte neanche quella] dialettale). Studio Lingue, sogno di fare il linguista. La questione non è proprio facile, ma non impossibile! Secondo me non si deve assolutamente imporre un'unica variante di dialetto, altrimenti si va proprio contro l'intento iniziale di conservare le diversità! piuttosto sarei per l'insegnamento di un dialetto facendo la differenze tra le sue caratteristiche generali e le sue varianti locali, consentendo la scelta di alternare varie forme particolari entrambe valide contemporaneamente ed in particolare quelle native del luogo in cui si insegna.
RispondiEliminaGrazie Roberto. Hai colto l'importanza della questione ma anche le difficoltà che presenta.
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