Oggi sarebbe sicuramente ad Atene. Poi magari andrebbe a Lampedusa, a Ceuta e Melilla, in Ungheria, tra i russofoni della Lettonia, nei suoi amati Balcani, insomma tra i poveri, i derelitti, i disperati, le minoranze, i migranti. Oggi Alex Langer sarebbe in piazza Syntagma, a partecipare, senza farsi strumentalizzare, al momento più incerto ed esaltante della storia greca recente. E voterebbe 'no' al referendum di domenica, sicuramente. Ma non è questo che importa. Una volta fatto il suo dovere di cittadino europeo in Grecia, volerebbe alle altre frontiere del Vecchio Continente, dove serve qualcuno che ricordi i diritti e i valori dell'utopia europea.
Alex Langer si è ucciso venti anni fa, impiccato a un albero di albicocche sulle colline di Firenze. Era la coscienza critica e umanista che ormai non c'è più, nella presunta Europa unita. Manca il suo spirito di accoglienza, dialogo, scambio e confronto. Soprattutto manca alla spenta sinistra europea quell'afflato di comunità e solidarietà che animava Alex il "verde" e cattolico, altoatesino bilingue e tollerante, "ecologista e costruttore di pace". Il suo motto, che addirittura capovolge la retorica olimpica, era «più lentamente, più in profondità, con più dolcezza».
Nel biglietto che lasciò ai familiari, scrisse «non siate tristi, continuate in ciò che è giusto». E invece siamo ancora tutti tristi, anche quelli che abbiamo scoperto Alex molto tardi, quando ormai non c'era più. Tristi perché non sappiamo più fare quel che è giusto. Soprattutto quella sinistra che lui non riconoscerebbe più.
Una delle cose più interessanti scritte da Alex Langer è un'intervista del 1981 a Leonardo Sciascia, pubblicata l'11 febbraio su Tandem. Uno straordinario dialogo (qui il testo) sul senso di appartenenza, identità, isolamento e mescolamento. L'intellettuale di Vipiteno che interroga l'intellettuale di Racalmuto, un confronto profondo nord/profondo sud per capire che in fondo siamo tutti più uguali di quanto non vogliamo ammettere. «Provinciali è bello», il titolo. Provinciali e appartenenti a tante piccole patrie: intese però, spiegava Langer a Sciascia, come Heimat, «la patria dei luoghi, dei suoni e delle tradizioni conosciute e familiari», e non tanto nel senso "istituzionale" di Vaterland, «la patria delle bandiere, degli inni e delle battaglie».
La grandezza di Alex Langer era quella di imparare, assorbire dall'incontro con qualunque cultura "altra", gettare un ponte. E infatti chiudeva l'articolo così: «Alcune nostre nevrosi tirolesi (anche di sinistra) mi appaiono più sfumate, dopo questa conversazione con Leonardo Sciascia». Sicuramente anche Sciascia ha imparato qualcosa da Langer. Anche alla Sicilia servono maestri così. L'anno scorso il Premio internazionale Alexander Langer lo ha vinto Borderline Sicilia Onlus, associazione con sede a Modica che si occupa dei diritti dei migranti. Qualcuno continua «in ciò che giusto»...
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