lunedì 15 luglio 2013

In vino caritas

Non sono un vaticanista, da osservatore laico delle vicende di Chiesa mi tiro fuori dalle analisi dotte e mi limito a dire che la visita di Papa Francesco a Lampedusa è stata molto importante e significativa. Ne parlo con una settimana di ritardo per uno spunto che ho ricevuto un paio di giorni fa. Un comunicato stampa in cui veniva esplicitato un aspetto curioso e interessante del primo viaggio di Bergoglio.
Alcuni giornali ne hanno già parlato: il menù del pranzo del Papa. In verità, il comunicato si riferiva al vino! Era delle Cantine Settesoli, la più grande azienda vitivinicola siciliana e tra le maggiori cooperative del Sud Italia, di Menfi, provincia di Agrigento. Il Papa ha sorseggiato Grillo (bianco) e il doc Nero d'Avola (rosso).
Si sa che Francesco mangia poco, ma pare, dalle parole della chef Rosaria Di Maggio del resort Costa House, che abbia assaggiato e gradito. Lo capisco pure, con un menù del genere: tortino di melanzane all'araba (ideato ad hoc: pomodoro, finocchietto, uvetta, pinoli, triglie, pistacchio, mollica al basilico), couscous di verdure, calamari ripieni, caponata, ricciola gratinata al croccante di pistacchio, carpaccio di pesce spada affumicato con melone cantalupo. Di Maggio dice che Su Santidad ha voluto la cassata come dolce. Chissà cosa avrebbe potuto proporgli invece l'ex vicesindaco leghista Angela Maraventano, proprietaria di un ristorante a Lampedusa, "Il Saraceno" (sic)...
Ora, al di là dell'invidia e dell'acquolina che mi sono sorte all'istante, è giusto notare le contaminazioni, il senso di "integrazione", e anche il legame con il territorio. Dieta mediterranea in piena regola. Il Papa avrà sicuramente apprezzato, lui che cucinava per sé quando stava a Buenos Aires. E poi è comprensibile la soddisfazione di Settesoli, un'azienda che dà lavoro a migliaia di persone, ha 2.000 soci, produce 24 milioni di bottiglie di vino all'anno e fattura quasi 50 milioni di euro. Beh, nel comunicato forse si sono lasciati prendere la mano a parlare di "enogastronomia a Km zero" nel piatto lampedusano di Bergoglio...
Il presidente attuale della cooperativa è Vito Varvaro, manager palermitano con esperienze passate da amministratore delegato di Procter&Gamble e un posto tuttora nei cda di Piaggio e Tod's, e addirittura tesoriere di Save the Children, oltre che docente alla Luiss. Insomma, un alto profilo dirigenziale e gestionale. Varvaro è subentrato nel 2011 al barone Diego Planeta, eletto nel cda esattamente 40 anni prima e poi divenuto presidente nel 1973. Un nome, anzi un cognome, che dice molto a chi conosce l'enologia siciliana: tra le altre cose, infatti, è lo zio di Alessio Planeta, uno dei fondatori dell'omonima casa vinicola di Menfi, marito della deputata montiana Gea Schirò.
Tutto ciò per dire che il vino è cosa seria. Sono lontani i tempi in cui le uve siciliane partivano in autobotte per "tagliare" i nobili prodotti dei cugini d'Oltralpe. Ora nell'Isola ci sono una Docg (il Cerasuolo di Vittoria) e 25 Doc, più 7 Igt. Per non dire delle aziende siciliane leader nella produzione di vino da messa, tanto per restare in tema. Vino di qualità, dunque, che si comincia a vendere anche all'estero, su nuovi mercati.
Compreso il Canada, dove qualche vino siculo – come proprio i Planeta – si conosce già, ma dove ci sarebbe ancora molto da fare. Ed è per questo che la Camera di commercio italiana in British Columbia (la zona di Vancouver, in pratica) organizzerà dei tour mirati, chiamati Flavours of Sicily, per spingere eventuali investitori canadesi a fare acquisti tra le vigne della Trinacria. Dalla foglia d'acero a quella di vite. Pare sia un pallino del direttore del Marketing and Business Development. Che si chiama Alex Martyniak, cognome che non tradisce origini propriamente italiane. Però un legame con l'Italia, lavoro a parte, ce l'ha comunque. E qui, peraltro, si chiude il cerchio: dice di essere lontano nipote di Karol Wojtyla.

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