L'opera in questione, di cui parlava Sgarbi, si trova al museo Mandralisca di Cefalù. La vidi moltissimi anni fa in quella deliziosa cittadina palermitana sul mare.
Invece quella citata per sbaglio dall'Huffington è ospitata addirittura alla National Gallery di Londra, ed è più semplicemente il quadro talvolta interpretato come un autoritratto di Antonello. E finito peraltro nelle tasche di molti italiani almeno tra il 1979 e l'83: era infatti immortalato sulla banconota da 5.000 lire dedicata appunto all'artista messinese.
Antonello fu un precursore, un artista capace nel Quattrocento di fondere Rinascimento e pittura fiamminga, luce e attenzione al dettaglio, spazio e vitalità negli sguardi dei suoi ritratti. Proprio lo sguardo del quadro cefaludese è l'oggetto dell'analisi del critico. Perché Sgarbi, probabilmente dimostrando che le sue sortite da sindaco qua e là gli sono servite a capire come amministrare, sottolinea che quell'uomo dagli occhi furbetti può diventare il simbolo della Sicilia. Lui dice di averne pure parlato con il suo amico Crocetta, il presidente della Regione: il dipinto è "ostaggio" di un museo che non lo rende fruibile, salvato solo dai suoi otto dipendenti che lavorano gratis, ma potrebbe davvero essere «emblema della Sicilia, con la sua furbizia, l'astuzia, e tutto ciò che si lega all'abilità, inclusa la stronzaggine». Detto da uno che si chiama Sgarbi...
Il buon Vittorio però va oltre e suggerisce come fare. A Cefalù, ogni anno, vanno 600mila turisti, attirati soprattutto dal mare. E infatti al Mandralisca vanno solo in 20mila.
Chissà che Antonello non riesca davvero a "salvare" Cefalù. Come in parte ha fatto a Rovereto, agli antipodi d'Italia, dove al Mart, il museo d'arte moderna e contemporanea, è stato protagonista per mesi di una mostra di discreto successo, costata 900mila euro (500mila solo di trasporti e assicurazione delle opere) e organizzata ad hoc per rilanciare un'istituzione che nel 2012 aveva perso metà dei visitatori.
Se l'idea di Sgarbi venisse accolta, magari anche dall'amico Saro, quello sguardo furbo, astuto, abile e stronzo della seconda metà del XV secolo potrebbe dare una grossa mano anche nel XXI secolo. Con quell'aria che Vincenzo Consolo riassunse così bene nel 1976, cinque secoli dopo le pennellate di Antonello, nel suo capolavoro Il sorriso dell'ignoto marinaio: «Tutta l'espressione di quel volto era fissata, per sempre, nell'increspatura sottile, mobile, fuggevole dell'ironia, velo sublime d'aspro pudore con cui gli esseri intelligenti coprono la pietà».
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