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mercoledì 29 ottobre 2014

Trattare con sufficienza

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Trattativa s. f. [der. di trattatista]. - (polit., giur.) [fase preparatoria di un contratto, di un accordo e sim., nella quale se ne concorda la forma definitiva: aprire una t.; le t. sono fallite] ≈ contrattazione, negoziato, negoziazione, [riguardante cose venali e tirando sul prezzo] mercanteggiamento. ‖ patteggiamento.
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Dato che le parole sono importanti, affidiamoci all'efficace dizionario dei sinonimi e contrari della Treccani, che così spiega il significato della parola "trattativa". Dunque Stato e mafia, stando alla lingua italiana, avrebbero contrattato, mercanteggiato, patteggiato. Ai tribunali tocca portare la questione dal piano linguistico a quello giudiziario. Che ci sia stato, in forme mutevoli nel tempo (e nello spazio), un confronto continuo tra le istituzioni e la mafia è purtroppo un fatto accertato dalla storia, ma il processo sulla cosiddetta "trattativa Stato-mafia" è questione ben più complessa, in un Paese in cui è già difficile la definizione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Come spesso accade, ci si divide in due tifoserie opposte, come se non potesse esistere una mezza misura, che tutto è tranne cerchiobottismo, a voler essere onesti. Esiste, è esistita, a certi livelli continuerà a esistere una contrattazione (per usare uno dei sinonimi della Treccani) tra la criminalità organizzata e i poteri istituzionali. Ma mi riservo il diritto di nutrire grossi dubbi e perplessità su quella curiosa forma di giustizialismo che finisce per solidarizzare con boss pluricondannati e al contrario estremizzare un'equazione testimone=colpevole.
Sull'operato di Napolitano al Quirinale io ho più cose da ridire che non giudizi positivi, quindi non sono passibile di intelligenza col nemico. Però ieri mi è capitato di intervistare il costituzionalista Stefano Ceccanti, docente alla Sapienza ed ex senatore Pd (già mio docente a Bologna). Per lui l'interrogatorio al presidente della Repubblica rientra perfettamente nel recinto della legge, anche se il processo palermitano è di una irrimediabile fumosità. Chi pensava dunque di inchiodare il Colle ha probabilmente fallito (il capo dello Stato ha sostanzialmente ribadito cose già dette nel 1993). E la stessa vicenda giudiziaria perde credibilità. Ma intanto hanno ottenuto di interrogare Napolitano a casa sua, eh.

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lunedì 13 ottobre 2014

I Grandi Ufficiali dell'antimafia

Maria Falcone, sorella di Giovanni e cognata di Francesca, presidente della Fondazione a loro dedicata, è da oggi Grande Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana (Omri). Se lo merita, perché si tratta di una persona che si è sempre impegnata, soprattutto nelle scuole, per la legalità e la memoria e l'antimafia. L'onorificenza è stata conferita dal presidente Napolitano di sua personale iniziativa.
Il nome della professoressa Falcone si aggiunge alla sfilza di decine e decine di personaggi vari ed eventuali ai quali Napolitano (e ovviamente i suoi predecessori) hanno riconosciuto medaglie e coccarde e titoli. Niente di male, fa parte delle prerogative dei capi dello Stato; anzi, qualcuno potrebbe far notare sagacemente che è una delle principali prerogative, più che l'interventismo nella vita politica nazionale. Certo, fa riflettere questa "democrazia dell'onorificenza". Un bel titolo non si nega a nessuno, che siano parenti di vittime di mafia, piccoli eroi quotidiani, campioni dello sport, stelle dello spettacolo (l'ultimo Grande Ufficiale prima della signora Falcone, lo scorso 24 luglio, era stato Peppe Tornatore, per dire), suore, prefetti, ex politici, Letizia Moratti, tutti i leader sindacali, artisti di fama mondiale o semplici cittadini. Ecco che Maria Falcone, sorella di una medaglia d'oro al valor civile, va benissimo, a maggior ragione.
Ma siccome io sono anche un po' cialtrone, noto che una delle ultime uscite pubbliche, se non proprio l'ultima, della sorella di Giovanni risale al 9 ottobre. Una dichiarazione, peraltro condivisibile, nella quale attaccava e definiva "una cosa vergognosa" il tweet con cui Sabina Guzzanti si è permessa di esprimere solidarietà a Riina e Bagarella per i loro "diritti negati" relativamente alla deposizione di Napolitano nel processo sulla trattativa Stato-mafia. La professoressa diceva: «Si difendono i diritti di queste persone e non quelli dei magistrati che hanno emesso la sentenza, quelli del Capo dello Stato e dello Stato che rappresenta. È una cosa obbrobriosa, per la quale non bastano gli aggettivi dispregiativi». Una difesa in piena regola di Napolitano, quattro giorni prima della cerimonia al Quirinale...
Non voglio pensare male, né fare alcuna polemica, sono solo coincidenze. In questa contorta vicenda processuale, le cose sono già andate troppo oltre, a partire da uno squallido scambio di reciproche accuse: da una parte i movimentisti (e movimentati), tipo Ingroia e Salvatore Borsellino e la Guzzanti e Travaglio e i fan di Massimo Ciancimino, dall'altra gli istituzionali, quelli che "Napolitano ha già detto che non ricorda e quindi va bene così", tra cui la stessa Maria Falcone. Lo spettacolo peggiore è proprio l'insulto incrociato tra i portatori di due diversi modi di intendere la condizione di "parente di vittime di mafia", per arrivare all'apoteosi dello schifo con i battibecchi a sfondo politico-partitico. Ingroia, commissario straordinario all'abolenda provincia di Trapani su nomina crocettiana, non accetta che Maria Falcone lo critichi per aver strumentalizzato i nomi di Giovanni e Paolo per far politica: piuttosto è lei (che incidentalmente però si chiama Falcone, ndr) a sfruttare quel cognome, dice lui. Aggiungendo che non le è andata neanche tanto bene: la professoressa nel 1999 tentò invano la via di Strasburgo con i Verdi e poi più volte il suo nome è stato associato senza esiti al Pd. Poco male, almeno è Grande Ufficiale.