Rispondere a questa domanda potrebbe aver contribuito a farmi superare l'esame di ammissione alla scuola di giornalismo Tobagi di Milano. Non è orgoglio personale o chissà quale vanto. La risposta peraltro era semplice e stringata: "un imprenditore ucciso dalla mafia a Palermo nel 1991". Aggiungevo però "dimenticato da molti" e "abbandonato nella sua battaglia". Ecco, è l'obbligo del ricordo che conta. Quella su Libero Grassi era una delle tante domande di quel colloquio, una delle tante sulla mafia.
La "lapide di carta" |
Libero è un imprenditore del settore tessile e dagli anni Ottanta iniziano i problemi con la mafia. Libero è onesto, coerente e libero: non paga, non pagherà mai il pizzo. E lo dice chiaramente agli stessi estorsori. Le richieste e le minacce sono tante, però. Libero Grassi è solo nella sua Palermo, uno dei pochi che non si piegano al racket, appunto "abbandonato nella sua battaglia". Palermo, la Sicilia, l'Italia intera cominciano a conoscere Libero e il suo "no al pizzo" il 10 gennaio 1991.
Sul Giornale di Sicilia viene pubblicata una lettera di Grassi, indirizzata al "caro estortore":
Senza il coraggio, l'onestà e la dignità dell'uomo libero/Libero non ci sarebbero oggi i ragazzi di Addiopizzo, «la realtà che contrasta Cosa Nostra senza retoriche, senza pretendere finanziamenti pubblici, convinti che le loro azioni costruiscono un futuro vivibile, un futuro etico a favore della società; che studia, lavora, produce reddito, che finalmente è riconosciuta dallo Stato che ci piace». Parola di Pina Maisano, vedova di Libero Grassi. Dopo quella lettera, un improvviso interesse per Grassi si anima in tutto il Paese e non solo. Grazie alle interviste che rilascia, soprattutto quella su Rai3 nella Samarcanda di Santoro (11 aprile 1991), Libero Grassi diventa un simbolo nazionale della lotta civile contro la mafia. Ma quanto dura? Quant'è vera la preoccupazione delle istituzioni? La storia si ripete troppo spesso e Libero Grassi rimane "abbandonato" anche dopo quel breve periodo di ipocrita interesse pubblico. Ipocrita perché nessuno, nella politica e nelle istituzioni, fece qualcosa per proteggere Libero Grassi e per estendere la sua lotta alla mafia.«...volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere... Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al "Geometra Anzalone" e diremo no a tutti quelli come lui»
L'imprenditore aveva rifiutato la scorta personale ma aveva chiesto protezione per gli stabilimenti della sua azienda, la SIGMA. Invece alle 7.30 del 29 agosto del 1991 Libero era solo e senza protezione, quando fu ucciso dalla mafia (condannati, tra gli altri, Totò Riina, Bernardo Provenzano e Giuseppe Piddu Madonia). L'indignazione cominciò a esserci, forse più a livello nazionale ed europeo. Il giorno dopo la morte, il Corriere della Sera pubblicò un'altra lettera di Grassi. Lì denunciava le associazioni imprenditoriali che non si impegnavano contro il pizzo. Ivan Lo Bello in effetti doveva ancora arrivare... Ma ce n'era anche per alcune decisioni della magistratura e delle istituzioni. Le istituzioni si ricordarono di lui con la medaglia d'oro al valor civile conferita il 14 febbraio 1992. Cinque mesi e mezzo dopo.
Invece meno di un mese dopo l'omicidio, il 26 settembre 1991, Michele Santoro e Maurizio Costanzo conducono su Rai3 e Canale5 una puntata congiunta dei rispettivi programmi, dedicata a Libero Grassi e all'antimafia. Io non ricordo molto della morte di Grassi, ma quella trasmissione la ricordo. La ricordavo anche prima delle repliche e delle riproposizioni televisive degli ultimi anni: la trasmissione (mi sono sempre chiesto se Rita dalla Chiesa si sia mai rivista in quelle immagini, ndr) è quella ormai famosa in cui un allora giovane e democristiano Totò Cuffaro attaccava "certa magistratura". Giovanni Falcone era sul palco, ma pare non ce l'avesse con lui.
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